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Per l'ex direttore di Rai 2 e Rai 3 manca una definizione di "servizio pubblico"
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Il prossimo 6 maggio scadrà la concessione Stato-Rai e, ad oggi, nessuno conosce cosa accadrà dopo quella data. Al momento, infatti, sono ignote le modalità di assegnazione, le richieste che verranno fatte al futuro concessionario, nonché la durata del nuovo contratto. "È un passaggio molto delicato di cui non si parla ed esploderà all'improvviso", ha sentenziato Giovanni Minoli, per anni uomo chiave di Viale Mazzini e oggi a Radio 24, nel corso di un'intervista con Giovanni Floris.

Parlando dell'extra gettito del canone che dovrebbe derivare dall'inserimento della tassa nella bolletta dell'elettricità, Minoli ha detto: "a giugno la Rai, che avrà avuto questi soldi in più, dovrà guadagnarselo. Dovrà ritornare a essere 'mamma Rai', dovrà rifare il patto di solidarietà con gli italiani e quindi dovrà essere capace di dire perché la Rai è diversa dalle televisioni commerciali".

Qui sta il punto. La concessione del servizio pubblico è in scadenza, ciononostante, non soltanto non si discute di cosa accadrà dopo il 6 maggio, ma neppure si tenta di definire cosa si intenda per servizio pubblico. Un chiarimento che è stato richiesto più volte a gran voce anche dal senatore genovese Maurizio Rossi, che, ad esempio, lo scorso 23 dicembre, all'indomani del voto del Senato sulla Riforma Rai, sottolineava: "Cosa può essere definito come servizio pubblico? Per cosa paghiamo un canone alto o basso che sia, in bolletta o meno?".

Una domanda a cui, secondo Minoli, dovrà rispondere il direttore generale della Rai  Antonio Campo Dall'Orto. "Dovrà spiegare perché la Rai è servizio pubblico. Dire com'è organizzata e presentare il palinsesto della nuova Rai servizio pubblico che merita tutti quei soldi in più. Auguri, perché non sarà un’impresa facile", ha dichiarato Minoli, sottolineando la presenza di numerosi editori in Italia che presentano programmi di servizio pubblico e che potrebbero ambire a vedersi assegnati parte dei fondi che fino ad ora sono andati "in esclusiva" alla Rai.

Minoli e il senatore Rossi si trovano poi d'accordo sulla proposta, lanciata qualche anno fa dall'allora Vice Ministro allo Sviluppo Economico Antonio Catricalà, di segnalare con un bollino i programmi pagati con i soldi del canone. "La gente magari dice 'io pago il canone per questo programma che mi fa schifo'. Invece può darsi che lo paghi o che non lo paghi. Perché c’è anche la pubblicità. Quindi basterebbe che i programmi da canone fossero segnalati, in modo che la gente sappia se quel programma lo ha pagato o no. Ma per fare quello ci vuole una dirigenza che si assuma la responsabilità di dire cosa è il canone", ha sottolineato Minoli.

Ma i giorni passano, la scadenza si avvicina e in Italia - a differenza di quanto accaduto nel Regno Unito, dove si dibatte del tema da due anni - non si è ancora aperta una vera discussione su cosa sia definibile "servizio pubblico". Intanto, però, ci saranno da assegnare i soldi (circa 400 milioni di euro stimati) che arriveranno dal recupero del canone evaso. Sul loro utilizzo Minoli non ha dubbi: "quei 400 milioni dovrebbero essere messi a gara fra tutti gli editori locali e nazionali. Anche la Rai. E tutti potrebbero dire: Io ho un progetto di servizio pubblico per questi 400 milioni. Facciamolo diventare l’elemento che dà più qualità al sistema".

Come nel più classico dei giochi dell'oca, però, si ritorna al punto di partenza, perché nessuno ha definito cosa sia un programma di servizio pubblico. E allora il suono dei rintocchi delle lancette ricorda che il tempo stringe e che l'Italia si trova attardata sul tema. Per questo motivo, il senatore Rossi ha proposto nelle scorse settimane una proroga di un anno alla Rai. Per avere il tempo di discutere e di approfondire la questione. Ma soprattutto per evitare un affidamento diretto "al buio" alla Rai, che potrebbe far incappare il bel Paese in una procedura d'infrazione europea. Con tutte le conseguenze che ne conseguono.