La cattiva gestione degli ospedali italiani è stata rivelata dall’Agenas, l’agenzia per i servizi sanitari regionali, che aveva avuto l’ordine di fare questa spietata radiografia dalla ministra Lorenzin. Risultato scontato? Non fino a questi punti: il buco nero degli sprechi ospedalieri è impressionante e nel calderone del malgoverno sanitario c’è finita la Liguria con due colossi: l’ospedale San Martino e l’Istituto Gaslini. Quattordici milioni di euro lo “spreco” attribuito al nosocomio genovese, dieci milioni quello addebitato al prestigioso istituto pediatrico. Ora i rispettivi direttori dovranno rimettere i conti a posto entro tre anni. Sempre che i conti dell’agenzia siano giusti e che l’uscita mediatica non serva solo a parare la batosta dei nuovi tagli alla sanità nazionale.
Sono, in ogni caso, due storie diverse che vanno diversamente analizzate. Il Gaslini, infatti, nonostante tutto è e resta un fiore all’occhiello della sanità ligure, un vanto nazionale e internazionale che, dopo aver passato alcuni anni di grande difficoltà è tornato ad occupare il suo posto di rilievo nel panorama della sanità e della ricerca.
Per il San Martino il discorso è diverso. Pur avendo al suo interno alcune eccellenze riconosciute ma spesso poco conosciute, la gestione in questi ultimi anni è stata debole, aggravata da scelte sbagliate e troppo condizionate dalla politica, in primo luogo dal regime che aveva in mano la Liguria. L’unificazione forzata con l’Ist ha portato come risultato non una semplificazione con vantaggi soprattutto per i pazienti, ma un marchingegno complicato da guidare e anche da comprendere. Male anche il matrimonio, reciprocamente sgradito, con l’Università che in molti casi ha fagocitato buone strutture ospedaliere dentro il suo grande ventre burocratico. Ma il compito dell’Università e in particolare della facoltà di Medicina non dovrebbe essere in prima istanza quello di formare medici e ricercatori, possibilmente bravi? Il mix invece ha creato un dinosauro immobile, dove lo scontro tra poteri medici, politici e sindacali è all’ordine del giorno (i rumors affermano che le lotte interne siano riprese in questi mesi) anche perché è mancata una forte direzione che sapesse dare linee guida sicure e svincolate dai condizionamenti partitici. A San Martino ha regnato il “donabbondismo” sanitario.
Ora la Liguria si trova di fronte a due rischi. Per il Gaslini che l’Istituto, rimandato a settembre dall’Agenas, possa essere per questa ragione declassato nell’organigramma degli ospedali “vaticani” a vantaggio del romano Bambin Gesù. Sarebbe un disastro non solo per Genova. La Liguria di Giovanni Toti e dell’assessore Viale, deve battere i pugni sui tavoli della Capitale perché ciò non avvenga. Deve farlo nelle sedi a lui proprie anche il nostro arcivescovo. E anche il silente sindaco Doria provi una volta ad alzare la voce.
Per il San Martino c’è bisogno di una rivoluzione dalle fondamenta improponibile con il burlandismo, essendo questa situazione il risultato di compromessi tra il centrosinistra governante e il centrodestra di Scajola allora assai potente. Vanno azzerati i vertici e ricostruiti con manager nuovi che abbiano il coraggio di togliere quello che non funziona e rilanciare quello che funziona. In un confronto serio e non di bottega con gli altri ospedali della città. Ma il compito più difficile sarà la ricostruzione del triplice rapporto San Martino-Università-Ist. Va fatto senza rinvii, pena una pesante responsabilità politica per la giunta regionale.
Nomi nuovi, facce nuove potrebbero servire , perché no anche chiamati da oltre Appennino insieme al buono che c’è in Liguria e spesso è umiliato dai tesserati. Ci pensino Toti e Viale. E riflettano: non esiste per fortuna solo la Lombardia a fare buona salute.
politica
San Martino, Gaslini e il "donabbondismo" sanitario
Spicchi d'aglio
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