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Riformare la Tasi, non abolirla
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La promessa dell’estate – l’abolizione della Tasi sulla prima casa – ribadita con forza al Meeting di Rimini di Comunione e liberazione dal presidente del Consiglio, si appresta a diventare uno degli argomenti caldi del prossimo autunno.

Prescindendo dal ruolo redistributivo e di equità dell’imposta, alcune difficoltà dell’operazione sono già state efficacemente illustrate da Massimo Bordignon che ha sottolineato come, al di là del problema delle coperture, l’ennesimo intervento sull’imposizione sulla prima casa rischi di complicare ulteriormente il sistema della tassazione degli immobili nel nostro paese, già abbastanza ingarbugliato, senza risolverne alcune distorsioni.

Ma la questione farà discutere perché la maggioranza degli italiani paga la Tasi sulla prima casa. L’imposta genera un flusso ingente di risorse per l’erario: 3,5 miliardi, ben 58 euro e 50 centesimi in media per ogni cittadino italiano. Si tratta di un’imposta sul patrimonio immobiliare: l’unica rilevante imposta patrimoniale del nostro sistema tributario. Altri tipi di patrimoni non sono tassati, al di là della volontà politica di farlo, perché la loro mobilità ne rende molto difficile l’accertamento. Tant’è vero che nel novembre 2012 nel presentare l’Imu (come l’imposta fu allora chiamata), il neo-nominato presidente del Consiglio, Mario Monti, fece riferimento proprio all’impossibilità di colpire altri tipi di patrimoni, suggerendo il ruolo dell’Imu come parziale patrimoniale.

Certo, non la soluzione ottimale, ma il meglio che si potesse fare in un sistema economico pervaso dall’evasione fiscale, quella che gli economisti chiamano una soluzione di second best. Si trattava cioè di una soluzione pragmatica capace di raggiungere obiettivi concreti anche se non esattamente quelli migliori in assoluto.

Il termine sembra suggerire il contrario, ma in molti casi questo tipo di soluzioni pragmatiche è da preferirsi a quelle ottimali – di first best. Dani Rodrik in un suo contributo fondamentale del 2008 ha mostrato l’importanza delle soluzioni pragmatiche – apparentemente non ottimali – nel processo di riforma delle istituzioni nei paesi in via di sviluppo, nei quali l’entità dell’economia sommersa e il malfunzionamento dei mercati rendono impossibile replicare soluzioni ottimali in stile occidentale.

Il dibattito sulla Tasi e sulla sua abolizione ha ignorato finora il ruolo che questa può svolgere come pragmatica soluzione all’impossibilità di introdurre un’imposta patrimoniale generale nel contesto italiano, caratterizzato da tassi di evasione ed elusione fiscale simili a quelli di un paese in via di sviluppo.

La Tasi è stata giustamente presentata come local tax - imposta cardine del federalismo fiscale. Ma non si può trascurare il suo ruolo nella tassazione sui patrimoni nel nostro paese, dove l’80 per cento della popolazione vive in una casa di proprietà e oltre il 30 per cento dell’attività economica è sommersa.

La Tasi è un’imposta calcolata sulla rendita catastale: il possesso dell’immobile genera un reddito (figurativo) che viene tassato. Dal punto di vista dell’equità, si tratta di un reddito da capitale come altri e non vi è motivo di distorcere il sistema fiscale con un trattamento di favore. D’altra parte, in molti casi la Tasi rappresenta un peso eccessivo per quelle famiglie che si trovano a dover pagare un’ingente somma di imposta sulla prima casa, pur avendo un reddito basso: si tratta di una criticità riscontrata e conosciuta.

Per risolverla, occorre chiedersi perché famiglie con redditi bassi vivano in case con una rendita catastale elevata. Se trascuriamo le dimensioni affettive che possono legare una persona alla sua abitazione, di cui un sistema tributario non si deve far carico, rimangono tre possibili risposte: 1) le rendite catastali non riflettono il reale valore degli immobili, 2) è complicato e dispendioso vendere casa e comprarne un’altra proporzionata alle proprie possibilità economiche, 3) il reddito reale della famiglia è in realtà più alto di quanto non appaia dalle dichiarazioni dei redditi.

Si tratta di tre situazioni concrete che si verificano di frequente. Le prime due suggeriscono possibili interventi di riforma della Tasi: da una parte l’aggiornamento delle rendite catastali, troppo spesso non allineate al reale reddito figurativo generato dalle abitazioni, dall’altra l’alleggerimento delle imposte sull’acquisto della prima casa, che stimolerebbero il mercato e favorirebbero una più razionale allocazione delle abitazioni.

La terza situazione, invece, suggerisce che la Tasi sulla prima casa è uno strumento pragmatico – di second best appunto – per il recupero dell’evasione fiscale e che quindi non dovrebbe essere abolita.

*articolo originariamente pubblicato da Lavoce.info