Niente stravolgimento della Legge 84/94: la riforma dei porti passerà per una strada meno decisa ma, nelle intenzioni dell’esecutivo, più incisiva e soprattutto più sicura rispetto a una nuova edizione della legge che regola il settore portuale. Il primo passo è quello relativo alla governance degli scali, inserita nella legge delega in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche. Il passaggio che tocca gli scali è all’articolo 7 (“Riorganizzazione delle amministrazioni dello Stato”), che prevede che entro 12 mesi l’esecutivo modifichi la disciplina delle agenzie governative e degli enti pubblici non economico nazionali.
Al comma a-bis, in particolare, si legge come “con riferimento alle forze operanti in mare, fermi restando l'organizzazione, anche logistica, e lo svolgimento delle funzioni e dei compiti di polizia da parte delle Forze di polizia, eliminazione delle duplicazioni organizzative, logistiche e funzionali, nonché ottimizzazione di mezzi e infrastrutture, anche mediante forme obbligatorie di gestione associata, con rafforzamento del coordinamento tra Corpo delle capitanerie di porto e Marina militare, nella prospettiva di un'eventuale maggiore integrazione”.
Due, quindi, i punti chiave: da una parte l’obbligo degli accorpamenti, anche delle Autorità portuali, dall’altro una maggiore integrazione tra Marina Militare e Capitanerie. Il testo della legge delega è già stato licenziato dalla Camera ed è approdato ieri in Senato. Una strada, quella delle misure sulla portualità inserite in provvedimenti generali, che lo scorso febbraio era già stata tentata con il decreto Guidi sulla concorrenza, nel quale erano stati inizialmente inseriti alcuni passaggi sul lavoro nei terminal. Alla fine i temi legati alla portualità erano stati stralciati dopo il coro di proteste del settore, ma ora il governo tenta di ripercorrere la stessa strada su un campo solo apparentemente meno minato. Già, perché se a parole quasi tutti si dicono favorevoli agli accorpamenti, il passaggio da 24 a 14 Autority rischia di suscitare più di un malumore, specie se si tradurrà in un taglio di poltrone.
Nel frattempo l’esame del Piano strategico della Portualità e della logistica, 241 pagine di analisi del settore e linee guida sull’efficientamento del cluster logistico-portuale, approda in questi giorni sui banchi della Commissione Lavori Pubblici del Senato. Quello che appare certo è che la vera riforma dei porti non sarà un unico documento, ma una serie di interventi mirati disseminati nei provvedimenti di vari ministeri. La legge 84/94 e le varie bozze di riforma ferme da tempo sui banchi del Parlamento per il momento restano al loro posto.
In tutto questo Assoporti sta a guardare: l'associazione (che rappresenta 23 autorità portuali, di cui ben 9 commissariate) ha subito passivamente lo schiaffo dei mancati fondi europei. Del miliardo e duecento milioni destinati all'Italia dal fondo Connecting Europe solo pochi milioni sono andati ai porti, nulla al Terzo valico. Una scelta che cozza con le dichiarazioni di facciata sulla necessità di investire su collegamento e logistica, ma che l'associazione ha accettato passivamente dopo non avete fatto alcun tentativo di sbloccare maggiori investimenti su scali e collegamenti. Non solo: il governo ha portato in parlamento le norme su piano dei porti e riforma proprio alla vigilia dell'assemblea di Assoporti in programma oggi a Roma. Uno schiaffo che la dice lunga sul peso e sulla capacità di rappresentanza dell'associazione (dalla quale lo scorso anno Luigi Merlo, prima vicepresidente, si era dimesso. Peraltro va sottolineato che l'Autorità Portuale di Genova, primo scalo italiano, non parteciperà l'assemblea) che appare sempre più interessata a parlare di governance (vedi "poltrone") piuttosto che di sviluppo.
porti e logistica
Riforma dei porti, il governo parte dalla governance degli scali
Delrio bypassa Assoporti nel giorno dell'assemblea
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