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Dopo il risultato alle Regionali e alle Comunali
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“In Liguria la Paita non ha perso perché il candidato di Civati le ha tolto dei voti che probabilmente non sarebbero comunque andati a lei. Ha perso perché nell’ultima settimana il 5 per cento degli elettori di centro si è spostato verso Toti”. Quant’è diverso il Matteo Renzi di questo sfogo dopo il voto andato male nei ballottaggi di molti Comuni, fra cui Venezia e Arezzo (città del ministro Maria Elena Boschi). Quelle frasi sulla Liguria le pronuncia in un colloquio con il vicedirettore della Stampa, Massimo Gramellini, e sono in netto contrasto con la prima reazione dopo la sconfitta subita in Liguria, addebitata “alla sinistra masochista” e “a Pastorino e Cofferati che hanno consegnato la Regione al portavoce di Berlusconi”.

Da questa tornata elettorale il premier e segretario del partito subisce un brusco risveglio e comincia a dire quello che in tanti hanno cercato, per mesi e mesi, di fargli capire per evitare quello che ora appare un disastro incombente sul suo partito. Dice il vero, ma difetta di eleganza, quando aggiunge, a proposito di Casson, Paita, Moretti, Emiliano e De Luca (i primi tre battuti nelle rispettive competizioni), che “in nessuna di quelle scelte io ho messo bocca”.

Mi fermo alla storia che conosco, cioè la candidatura di Raffaella Paita. E’ uscita vincitrice da Primarie che altrove sono state annullate per molto meno, ma nonostante ciò Renzi ha fatto spallucce, ha liquidato con arroganza l’uscita dal Pd di un fondatore quale Sergio Cofferati, ha infine sostenuto la candidata salendo a Genova e l’ha difesa semplicemente ribaltando su altri la colpa del flop, senza interrogarsi se la candidata sbagliata fosse la sola causa o avesse concorso, e non in misura marginale, un partito ampiamente sordo alla Liguria che lo circonda e tutto ripiegato sulle faide di potere interno. O sul tentativo di conservare – vedi alla voce Claudio Burlando – un sistema che pervade(va) ampi settori della vita politica, amministrativa, economica e finanziaria della regione che ha guidato per dieci anni. Siamo sicuri che il capo non abbia colpe?

Presi altri schiaffoni in giro per l’Italia, ora Renzi scopre che l’amara verità va oltre la “sinistra masochista”. Scopre che “questo è un Paese moderato e vince chi occupa il centro” e soprattutto scopre che “le primarie sono in crisi e se dipendesse da me la loro stagione sarebbe finita”. Essendo noto il pensiero di Primocanale in proposito – i partiti dovrebbero assumersi la responsabilità di scegliere i candidati e se proprio si vogliono fare delle primarie, almeno le si regolamentino per legge – posso dire che questa è un’altra scivolata stilistica: Renzi le primarie le ha usate per scalare il Pd e poi da lì lanciare l’Opa su Palazzo Chigi, scalzando il predecessore Enrico Letta. Bene che abbia capito quanto lo strumento sia inadeguato, ma erano altri i modi e le circostanza in cui avrebbe dovuto porre il problema. Altrimenti rischia la figura fatta da Silvio Berlusconi, che molti dei mali di questo Paese li aveva ben focalizzati fin dal 1994 – troppe tasse, troppa burocrazia, troppi veti incrociati, giustizia malata – ma poi non ha fatto nulla. O ha fatto solo ciò che gli tornava utile.

Che cosa accadrà adesso? Renzi dice di voler tornare Renzi – quasi accusandosi di aver impersonato la controfigura di se stesso – e di volersi riprendere il Pd, accollandosi il torto “non di aver messo i miei al governo, ma di non averli messi nel partito”. Ne saranno lieti Debora Serracchiani e Lorenzo Guerini, i suoi vice… Quanto alla Liguria non si capisce bene quale piega prenderanno gli eventi. Dopo il voto regionale sembrava che da Roma fosse partito un input semplice: “La patata bollente ve la sbucciate voi”.

Non che il messaggio avesse prodotto grandi cambiamenti o resipiscenze: Raffaella Paita metabolizzata la sconfitta ha cominciato a lavorare per fare la capogruppo Pd in consiglio regionale, i segretari Giovanni Lunardon (regionale, anche lui eletto in consiglio, salvo smentita da ricorso di Boitano) e Alessandro Terrile (provinciale genovese) sono dimissionari, ma non hanno ancora mollato l’incarico, mentre gli altri si muovono in ordine sparso a cercar di capire quale sia la rotta o quasi a passare alle vie di fatto (vedasi lo scontro fra Juri Michelucci, segretario spezzino, con Lorenzo Forcieri, presidente della locale Autorità portuale). Intanto il neo governatore ligure Giovanni Toti si prepara a guidare la Regione Liguria. Continuando a ripetere: “Io nella vittoria ci credevo eccome”. Non so se sia vero, ma aveva ragione. E se il Pd rimane questo, dovrà sul serio combinarle grosse perché i liguri gli neghino il secondo giro.