politica

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La marcia dei ventimila milanesi per reagire ai vandalismi dei black bloc, così come l’impegno degli “angeli del fango” genovesi nei giorni dell’alluvione, ci fanno capire che il senso di appartenenza alla comunità e il sentimento di solidarietà che unisce le persone sono solo sopiti, e pronti a riemergere di fronte a fatti eccezionali. Il problema, per la politica, è che cittadinanza e solidarietà non restino latenti e occasionali ma diventino tratti distintivi di una democrazia non respingente, in cui i cittadini siano protagonisti e non spettatori.

Le liste per le elezioni regionali liguri sono, da questo punto di vista, una cartina di tornasole di quanto si sia lontani dall’obbiettivo. Eppure, a prima vista, si è tentati di dire: qualcosa si muove, sono in lizza molte liste civiche espressione di cittadini impegnati per “il bene comune”. In realtà le liste sedicenti “civiche” sono composte in gran parte da politici di professione, spesso da decenni. Nulla di male: ma perché nascondersi?

Raffaella Paita ha dalla sua parte ben due liste che di “civico” hanno davvero poco. “Liguria cambia” ha come capolista a Genova un consigliere regionale uscente, a Spezia candida perfino un ex assessore regionale dei tempi del pentapartito, e poi sindaci e consiglieri comunali in carica… “Liguri per Paita Presidente” candida addirittura quattro assessori regionali uscenti! Anche Luca Pastorino ha dato vita a una lista “civica” che porta il suo nome: non ha raccolto le firme a Savona e a Imperia, a Spezia sì perché il capolista è il segretario provinciale del Partito Comunista d’Italia! In tutti e tre i casi si tratta di “liste civetta” dell’uno o dell’altro partito o schieramento partitico: non di vere liste civiche, che sono tali solo se autonome da partiti e schieramenti. Né va molto meglio a “Liguria libera”, che dietro lo schermo “civico” cela la candidatura a Presidente di un eterno candidato alle cariche più diverse, e a Spezia, per esempio, due consiglieri comunali eletti con il centrodestra.

E’ più onesto lo schieramento che candida Giovanni Toti: è composto dai vari partiti di destra, almeno è chiaro. Le uniche liste aperte a persone e associazioni sono quelle di “Altra Liguria” e di “Fratellanza donne”, oltre a quella del M5S, anche se il movimento, rispetto all’origine, ha ormai assunto i tratti e le regole di un partito. Ma la vera lista civica, capace di coinvolgere la grande massa dei cittadini che non votano, non c’è ancora: è la grande assente di queste elezioni.

Il quadro è chiaro: sulla crisi dei partiti si è innestato un neo-notabilato interessato all’esclusiva auto-preservazione. C’è qualche eccezione che fa ben sperare, ma resta immane il compito di contrastare la lontananza attuale della politica dalla vita. Non lo si può fare con le sole armi dei bei tempi andati o con la riproposizione di uno schema logorato da anni di sconfitte: serve una radicale ridefinizione dell’agire politico, che porti alla costruzione di una “coalizione civica, sociale e popolare”. Spinge tutti al cambiamento anche l’orrendo Italicum appena approvato, che punta alla formazione di due grandi aggregazioni in competizione tra loro al ballottaggio, e di pochi piccoli partiti di testimonianza. Renzi punta ad avere come competitore un partito di destra unito sotto Berlusconi: la migliore garanzia per assicurare la vittoria al suo “partito della nazione” nel ballottaggio.

La realtà potrebbe essere diversa se entrasse in campo la “coalizione civica, sociale e popolare”. Il M5S e la sinistra davvero alternativa devono ridefinire se stessi, contro ogni astratto dottrinarismo, per essere all’altezza di questa sfida, che è la sfida del futuro. E’ l’unico modo per evitare la testimonianza, cioè di fare gli spettatori del ballottaggio tra Renzi e Berlusconi. E la cittadinanza attiva e solidale deve essere protagonista della costruzione della nuova “coalizione”, che non nascerà solo dalle costole delle attuali formazioni politiche ma anche e soprattutto da una grande spinta sociale dal basso.