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Il piano casa del governo Renzi (decreto legge 47/2014) si mette in moto, senza fretta. A dicembre 2014, la conferenza unificata Stato-Regioni ha dato il via libera a un decreto del ministro delle Infrastrutture che definisce i criteri per la formulazione del programma di ripristino e ristrutturazione delle case popolari, previsto dall’articolo 4 del piano, la cui copertura finanziaria è stata assicurata dalla legge di stabilità (comma 235 della legge 190/2014).

I lavori finanziati tuttavia non inizieranno prima dell’estate, cioè almeno 15 mesi dopo l’entrata in vigore del decreto legge. Un tempo eccessivo per un programma il cui fine è “dare prime e immediate risposte al disagio abitativo nelle diffuse forme riscontrabili nel paese”.

La sua realizzazione è, però, particolarmente importante: permette di fronteggiare quel vero e proprio spreco costituito dalle case popolari che restano sfitte per mesi e mesi a causa della mancanza dei fondi necessari per metterle a norma, sistemare gli infissi, fare lavori di recupero.

DIMENSIONE DEL PROBLEMA - Il decreto ministeriale fornisce, per ciascuna regione, il numero totale di alloggi di proprietà pubblica e il numero di quelli classificati di “risulta”, cioè liberati dai precedenti inquilini, volontariamente o per decadenza dal diritto a occuparli, e in attesa di essere nuovamente assegnati.

Secondo i dati che le regioni hanno trasmesso al ministero, gli alloggi di proprietà pubblica sono circa 950 mila. La cifra dovrebbe essere sufficientemente attendibile: solo quattro regioni non hanno indicato dati dettagliati all’unità, ma approssimati alle centinaia o migliaia di unità.

Gli alloggi di risulta sono circa 16.500, un dato che invece sembra meno attendibile. Per la verità, le regioni avevano tutto l’interesse a fornire dati realistici: il numero delle case popolari sfitte costituisce uno dei due parametri (l’altro è il numero degli sfratti) in base ai quali è stata ripartita una parte dei finanziamenti. Ciononostante, nel Lazio gli alloggi popolari sfitti sarebbero solo 159, cioè lo 0,15 per cento del totale; in Campania 649 (0,6 per cento); in Sardegna 144 (0,45 per cento). In ogni caso, i finanziamenti assegnati al programma non sono sufficienti per un loro rapido ripristino.

CARENZA DI RISORSE - Il programma si compone di due sezioni: a) interventi di “non rilevante entità”, che richiedono lavori di importo inferiore a 15mila euro realizzabili in non più di trenta giorni; b) interventi per il ripristino di alloggi sfitti e di manutenzione straordinaria (quali abbattimento delle barriere architettoniche, elevazione degli standard energetici, messa in sicurezza di componenti strutturali) finanziabili ognuno con non più di 50mila euro. Il finanziamento per gli interventi di lieve entità è di 67,9 milioni di euro, mentre i milioni destinati a quelli della sezione b) sono 400. 

All’esiguità delle somme si aggiunge la loro diluizione nel tempo. Per le piccole opere, lo stanziamento è ripartito su quattro anni; per le più importanti è distribuito su ben undici anni: gli ultimi 25 milioni di euro dovrebbero essere disponibili nel lontano 2024. Finanziando ogni intervento per l’importo massimo previsto dal decreto, si potranno realizzare lavori di piccolo importo su 4.500 alloggi e lavori per cifre più rilevanti su 8mila.

In conclusione, le risorse non bastano neanche per sistemare tutti gli alloggi di risulta. In più, la dispersione nel tempo degli interventi fa sì che l’impatto del programma sull’acuta situazione di disagio abitativo sia molto più attenuato di quanto non risulti dal numero complessivo di interventi finanziabili. Se tutti i fondi previsti per il triennio 2015-2017 saranno spesi per ripristinare alloggi popolari sfitti, ne saranno pronti per essere riassegnati solo duemila ogni anno: una goccia nel mare del fabbisogno.

TRE RISULTATI POSSIBILI - Più volte l’ex ministro delle Infrastrutture ha rivendicato come merito del governo i 500 milioni di euro destinati al programma di ristrutturazione delle case popolari. Non ha mai detto, tuttavia, che questa cifra è la somma di tanti piccoli importi distribuiti nell’arco di più di un decennio. Se lo avesse fatto, avrebbe evidenziato la marginale incisività del programma sul disagio abitativo. I tempi della nostra finanza pubblica sono di vacche magre, ma con la legge di stabilità 2015 si sarebbero potuti concentrare in un anno gli stanziamenti necessari per sistemare gli alloggi sfitti. È una decisione che il governo può ancora prendere.

Otterrebbe così tre importanti risultati: risolvere il problema della casa di un certo numero di famiglie tra le tante che sono in lista di attesa (risultato sociale); i lavori di recupero e di piccola ristrutturazione sono subito eseguibili con segnalazione certificata di inizio attività o senza alcun titolo abilitativo alla costruzione e poiché sono tutti di basso e medio importo danno lavoro a piccole imprese e artigiani locali (risultato economico); il modo più efficace per contrastare l’occupazione abusiva delle case popolari (il piano casa prevede una specifica norma per combattere il fenomeno) è tenerle sfitte per il solo tempo tecnico strettamente necessario al loro ripristino e poi assegnarle a chi ne ha legittimamente diritto (risultato di legalità).

(In collaborazione con www.lavoce.info)