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“Prima o poi un magistrato verrà a dirci che il regalo di Impregilo alla città di Genova, dopo l’alluvione, non era poi un gran regalo…”. Ecco, i tanti, troppi furbetti del quartierino, l’esercito di corrotti e corruttori che scorrazzano per il Paese ci hanno ridotti così, a dubitare che possa essere sporcato anche un gesto nobile come quello del colosso delle costruzioni, che dopo l’ennesima tragedia genovese ha donato, appunto, il progetto esecutivo per il rifacimento della copertura dell’ultimo tratto del famigerato Bisagno. Rispondendo all’appello del governatore ligure Claudio Burlando, il numero uno del gruppo, Pietro Salini, disse: “Ci sembra importante che la società civile dia un contributo di fronte a tragedie come questa. La nostra società crede in questo Paese”.

Proprio di ciò, abbiamo bisogno: poter continuare a credere in questo Paese, senza il fardello dei cattivi pensieri, senza leggere di scandali che se parlano anche del Terzo valico ti assale subito il dubbio: “ma quell’opera non la sta facendo Impregilo e Impregilo non ha regalato a Genova…”. Mamma mia! Nonostante tutto, abbiamo bisogno di poter credere in un’Italia pulita, noi e con noi le imprese sane, che quotidianamente si sbattono per il loro lavoro, dovendo fronteggiare una concorrenza fatta non solo di competizioni professionali e tecnico-tecnologiche, ma anche – se non soprattutto – di un malaffare che ha nei boiardi di Stato e nella politica i principali terminali. Il caso del superburocrate dei Trasporti Ercole Incalza finito in manette e del ministro dei Trasporti Maurizio Lupi in piena bufera per lo scandalo degli appalti Expo e Tav, con annessi e connessi regali e raccomandazioni, da questo punto di vista è emblematico.

Le responsabilità penali appartengono alla competenza dei giudici, se le vedranno loro. Ma c’è una sfera, quella delle responsabilità politiche, che non riguarda in alcun modo le toghe. Almeno fino al momento in cui la politica non lascia vuoto quello spazio e allora l’Anm si sente autorizzata ad affermare che lo Stato “schiaffeggia virtualmente i magistrati e accarezza i corrotti”. Matteo Renzi, il premier, s’imbufalisce e risponde per le rime, sgrana il rosario degli interventi che il suo governo sta realizzando, o ha in programma, per combattere la corruzione, però si ferma lì.

E il punto è proprio questo: in un Paese normale - la settima, ottava, nona o decima potenza industriale che sia – il primo atto richiesto a chi comanda il governo sarebbe stato quello di chiamare a sé Maurizio Lupi e pretendere un gesto banale: “Ora ti fai da parte, vediamo le cose e poi ne riparliamo”. In un Paese normale, per la verità, quel gesto lo avrebbe compiuto spontaneamente l’interessato, perché c’è un dato sul quale non si può transigere: quando si rivestono ruoli istituzionali, e ancor più se di primissima linea, non basta essere onesti, bisogna anche apparire tali. Senza dimenticare, ormai è diventato un luogo comune con tanti casi di malaffare, che ci si difende meglio – non solo in sede giudiziaria – se ci si fa da parte.

Tutto ciò al momento non si vede e questo dà fiato alle trombe degli oppositori, che inevitabilmente ora intonano l’inno delle dimissioni di Lupi, che sia lui a darle o che gli vengano imposte dal premier. E la “resistenza” degna di miglior causa opposta dagli interessati apre le porte anche ad altri dubbi e sospetti. Perché, ad esempio, Lupi ha improvvisamente detto che un pezzo di Gronda devono pagarsela i liguri, anziché essere come da contratto interamente a carico di Autostrade per l’Italia, che poi si rivale sui pedaggi a livello nazionale? Cattivi pensieri, come quelli di chi comincia a chiedersi se le ripetute visite a Genova del ministro avessero solo natura istituzionale, per come s’è visto nelle parate giustappunto sul Terzo valico, o se la presenza del figlio, con quel ginepraio di rapporti – dicono gli inquirenti – disvelati dalle indagini che hanno condotto fino allo studio Mor, abbia in qualche modo condizionato le relazioni genovesi. E se queste relazioni si siano fermate a livello ordinario, anche con Comune e Regione, o siano tracimate nel politicamente inopportuno. Che è cosa diversa dal penalmente rilevante, va ribadito, tanto più che Lupi non è indagato per alcunché né compare nelle intercettazioni. Ma che è cosa fondamentale.

La prudenza con cui Renzi si sta muovendo, come riportano molte cronache giornalistiche, diffondendo l’ordine di scuderia di non avventurarsi in difese del ministro “a prescindere”, la dice però lunga sul timore che la posizione di Lupi si possa aggravare. Non tanto dal punto di vista giudiziario, bensì sotto il profilo squisitamente politico. Questo, ovviamente, investe i delicati equilibri interni al governo, in particolare fra lo stesso Renzi, il vicepremier Angelino Alfano e più in generale l’Ncd, il partito di Lupi e Alfano. Ma poi va a picchiare dritto dritto anche sui provvedimenti. Per stare a una questione che interessa molto da vicino la Liguria, con quale credibilità il ministro dei Trasporti Lupi - in piena bufera, sotto il tiro dei media e delle minoranze parlamentari - può presentare quella riforma della portualità italiana a cui si sta lavorando e che dovrebbe portare il suo nome (a prescindere che poi sia principalmente frutto delle indicazioni fornite da un “pensatoio” in cui la parte del leone la fa il vicesegretario Pd Debora Serracchiani)?

La questione, insomma, è molto complessa. Ma siccome scaturisce da un tema, l’anticorruzione, sul quale non è consentito di fare sconti a chicchessia, neppure se solo incidentalmente lambito dall’ennesimo scandalo, la soluzione sarebbe la più semplice: un passo indietro di Lupi. Il quale darebbe così un bel contributo a rendere più normale questo Paese. Peraltro, un’esigenza che egli stesso, più volte, ha evocato e invocato. O certi ragionamenti valgono solo quando riguardano gli altri?