economia

Finmeccanica più piccola, non è la strada giusta
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Mauro Moretti tira dritto. Con l’obiettivo di centrare il risultato non riuscito a suoi due ultimi predecessori, Alessandro Pansa e Giuseppe Orsi: smontare la Finmeccanica così come l’abbiamo conosciuta, nelle sue due declinazioni di industria del settore militare e di quello civile. In questo quadro, i rumors che accompagnano l’azione dell’autoritario amministratore delegato di Piazza Monte Grappa delineano meglio il destino della genovese Selex Es.

Il suo destino è segnato, all’insegna di uno spacchettamento feroce. E dunque: l’Information technology sta già facendo rotta verso Engineering e per l’automazione postale si è fatta sotto la tedesca Siemens (che a suo tempo è stata lungamente in corsa per divorare Ansaldo Energia). Entrambe le attività hanno una base importante nel capoluogo ligure. Così come la cyber-security, che dovrebbe sfuggire alla dismissione, al contrario di quella che possiamo definire la “security non cyber”, per la quale non risulta si sia fatto avanti alcun compratore. Almeno in termini non stringenti. Ma non basta.

In bilico c’è anche l’attività legata al controllo del traffico aereo: qui Moretti è ancora in mezzo al guado, nel senso che non avrebbe ancora a disposizione tutti gli elementi per stabilire se cedere o meno questo ramo d’azienda. Se alla fine la bilancia dovesse pendere dalla parte della vendita, il compratore c’è già: la Vitrociset, alla cui guida, come presidente operativo, dal 2012 si trova Giorgio Zappa, il quale ben conosce la realtà aziendale di cui si parla essendo stato il direttore generale di Finmeccanica.

La linea portata avanti da Moretti trova la decisa opposizione delle organizzazioni sindacali. Non è in discussione la qualità dei possibili acquirenti, bensì la strategia del gruppo, accompagnata dal timore che l’operazione di deconsolidamento del civile da parte di Finmeccanica comporti, lungo il suo percorso, anche la perdita di posti di lavoro. Fim, Fiom e Uilm parlano apertamente del rischio di “macelleria sociale, tanto più grave se a realizzarla è un gruppo controllato dallo Stato. Il premier Renzi a parole dice di voler difendere l’occupazione e, anzi, di agire per crearne di nuova, ma nei fatti va nella direzione opposta se non metterà un freno al piano di Moretti”.

E’ proprio perché vedono una responsabilità diretta del governo, dal quale è arrivata la nomina a capo di Finmeccanica dell’ex numero uno delle Ferrovie, che i sindacati stanno anche valutando l’ipotesi di inscenare una manifestazione di protestata venerdì prossimo a Villanova d’Albenga, dove Renzi è atteso in visita al nuovo stabilimento della Piaggio Aero Industries. Al momento le opinioni all’interno di Fim, Fiom e Uilm sarebbero ancora contrastanti su una simile iniziativa, ma è molto forte il pressing dell’ala sindacale che ritiene l’occasione troppo ghiotta per lasciarsela scappare. Lo scopo, ovviamente, è accendere i riflettori anche dell’informazione nazionale su un argomento che al momento rimane sotto traccia. 

Da questo punto di vista, non è casuale neppure il durissimo attacco che unitariamente i sindacati hanno portato alle istituzioni locali, in particolare Regione Liguria e Comune di Genova, accusati di “sottovalutare la questione attraverso un assordante silenzio”. 

Bisogna aggiungere che le preoccupazioni cominciano a fare capolino non solo in riferimento al destino della Selex Es o di Ansaldo Sts e Ansaldo Breda (ancora con il cartello vendesi affisso sulla porta e con i cinesi di Cnr-Insigma e i giapponesi di Hitachi pronte a rilevarle), ma sulla sorte della stessa Finmeccanica. Interessante, in tal senso una battuta del past president di Confindustria Genova, Stefano Zara, arrivata proprio nel corso di una trasmissione serale a Primocanale: “Prima di tutto mi vien da pensare a che fine farà il gruppo nel suo insieme, così drasticamente ridimensionato e impiccato, con l’abbandono delle attività civili, a commesse militari che tutti i governi del pianeta stanno riducendo”.

La scommessa industriale di Moretti, in effetti, sotto questo profilo non è chiarissima. O lo è troppo. E non quadra. Moretti coltiva l’ambizione di una Finmeccanica che nei settori in cui resterà ad operare faccia tutto da sola, ma sul punto compie un peccato di inesperienza e di arroganza. Inesperienza perché il mercato richiede ben più del tempo che ha avuto a disposizione per essere compreso a fondo nelle sue delicatissime e complicate dinamiche, di arroganza perché non valuta che per consuetudine dettata dalla necessità, anche i grandi competitori – di fronte alle commesse più impegnative – si mettono in cordata, realizzando i prodotti “a pezzi”. Si può ragionevolmente pensare di andare da soli a simili battaglie?

C’è poi un aspetto non secondario e molto pratico: una Finmeccanica fortemente ridimensionata, quindi anche nei ricavi, come potrà avere la forza finanziaria occorrente per sostenere le fidejussioni di garanzia che stanno a monte dei grandi ordinativi? Parliamo di centinaia di milioni che devono essere immobilizzati e quindi resi indisponibili alle strategie di crescita. Moretti ha certamente l’esigenza di ridurre il pesante indebitamento del gruppo, ma la via maestra non sembra poter essere quella di rimpicciolirla. Né quella di ragionare a breve termine. Questo può funzionare in una azienda come le Ferrovie, dove hai le biglietterie, incassi e hai a disposizione un flusso di cassa quotidiano.

Finmeccanica non eroga un servizio, fa industria, e nell’industria i ragionamenti e gli impegni sono di medio-lungo termine. E tutta un’altra storia, insomma. Senza considerare un altro aspetto: in passato, quando Finmeccanica ha cominciato a crescere proprio in termini di massa critica (con ricavi arrivati intorno ai 20 miliardi all’anno) sono cominciati i forti mal di pancia di alcune cancellerie internazionali, che hanno digerito molto male la presenza sul mercato globale di un campione nazionale italiano capace di incrociare le lame con gli altri grandi gruppi. Se per anni da Parigi, Berlino e Londra sono partiti siluri contro la Grande Finmeccanica”, anche attraverso ruvide analisi di autorevolissimi fogli come il Financial Times, forse Moretti e soprattutto il premier Matteo Renzi farebbero bene a interrogarsi se sia davvero giusta la strada del ridimensionamento.

Un conto è la pulizia interna dei comportamenti, e ci sono inchieste giudiziarie a testimoniare quanto sia indispensabile, altro è ritenere che l’asso nella manica possa essere il nanismo cui la nuova Finmeccanica sembra destinata, in confronto ai suoi competitori. Un visione che non torna con il Renzi che predica di un Paese con il coraggio di pensare e agire in grande. E con un sistema imprenditoriale alle prese con un problema gigantesco, appunto quello delle ridotte dimensioni delle aziende. Per cambiare verso che facciamo, rendiamo piccolo anche quello che non lo è?