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Ma nel rapporto tra Claudio Burlando e Raffaella Paita chi comanda? L’idea generalizzata è che sia la “delfina” a menare la danza, per ragioni anagrafiche, perché alle donne riesce meglio a prescindere, come direbbe Totò, per ambizione a ruoli che il governatore ligure ha già ampiamente soddisfatto (sindaco di Genova, parlamentare, ministro della Repubblica, presidente della Regione) e perché tenta di incarnare quel “nuovo” che Burlando, a causa del suo lungo cursus honorum, può solo invocare come tendenza, ma certo non rappresentarlo.

Ci sono buone ragioni, dunque, perché alla domanda iniziale si sia portati a rispondere: comanda Paita. E se, invece, non fosse così? Intanto c’è una questione di statura. Se pure azzardasse un tacco 15, la “delfina” pareggerebbe quella fisica, ma quella politica le sarebbe comunque irraggiungibile. Anche al netto di un ultimo periodo nel quale Burlando, secondo molti osservatori e anche secondo persone che gli sono da sempre vicine, sembra aver perso la lucidità di un tempo. In più, i corridoi della Regione hanno occhi, orecchie e a volte pure lingua. Che magari al massimo produce sussurri, ma sussurri perfettamente intellegibili: “Raffella non tocca palla se lui non la mette in gioco. E la “assessora” quali risultati può davvero vantare, sebbene abbia una delle migliori squadre di funzionari a disposizione?”.

Per dire se un simile giudizio sia fondato bisognerebbe avere una quotidianità in Regione che ovviamente non abbiamo, ma poiché questo mormorio è ricorrente e non isolato, qualcosa di vero deve pur esserci. Del resto, il salto dal “faceva le fotocopie per il sindaco di Spezia Pagano” al ruolo di presidente della Regione può risultare senza rete. E un qualche timore di inadeguatezza serpeggia evidente, nel Pd, se persino uno dai modi gentili come il vicepresidente Claudio Montaldo si abbandona ad affermare che Paita non è all’altezza di quel compito.

A rafforzare l’idea che nel giro di valzer che guarda alle regionali del 2015 sia Burlando a guidare la “delfina” arriva ora un’intervista al governatore comparsa sul Secolo XIX. Titolo: “Io non appoggio Paita, chi lo dice la aiuta”. Catenaccio, come si chiama in gergo: “Ho ancora molto consenso. Sui candidati ho le mie preferenze, ma alle primarie non sosterrò nessuno”. La mossa tattica è evidente: in prossimità della “Leopolda” che la “delfina” terrà sabato 21 giugno, Burlando le regala una presa di distanza che serve a liberarla dal fardello di essere una “nuova già vecchia” proprio perché ha alle spalle il governatore. Chissà se arriverà al punto, Burlando, di non presentarsi neanche a quell’appuntamento (come ha fatto quando Montaldo ha presentato un programma per la Liguria, peraltro pochi giorni fa annunciando di chiamarsi fuori dalla competizione) o se ci andrà cercando di qualificarsi come osservatore super partes. Qualunque cosa accada, tuttavia, è chiaro che solo chi mena per davvero la danza può uscirsene pubblicamente in quel modo.

Se le cose stessero diversamente, infatti, questa mossa avrebbe dovuta farla Raffaella Paita medesima, all’inizio di tutta questa storia e persino prima di annunciare urbi et orbi la propria candidatura alle primarie: “Il nuovo sono io e Burlando è il vecchio e proprio per questa ragione non voglio il suo sostegno, tanto più se non richiesto”. E’ la risposta che Lella, come la chiamano gli amici, ha dato a muso duro a Pierluigi Vinai - ex scajolano, ex centrodestra, ex Fondazione Carige – folgorato sulla via del “renzismo”. Ora, è vero che il governatore non è Vinai e che molti ritengono una simile presa di posizione impossibile, essendo Raffaella Paita assessore della giunta guidata da Burlando. Ma che c’entra l’essere assessore con il giocare svincolata la propria partita politica? Niente. Invece c’entra molto se la volontà è sfruttare ruolo e immagine del governatore, che consapevolmente “si lascia usare”, per cui la “delfina” accompagna il presidente come una madonna pellegrina in ogni angolo della Liguria e anche quando l’assessorato alle Infrastrutture c’azzecca poco o nulla.

In questo complicato gioco di sponde, che sempre di più agita le grandi manovre in corso nel Pd preparando le primarie d’autunno, attenzione, però, a non sbagliare i conti. La lettura in filigrana degli eventi e delle dichiarazioni, infatti, è una prerogativa dei giornalisti e degli addetti ai lavori. Una striminzita minoranza, rispetto al corpo elettorale. Anche quello parziale delle primarie. E allora i casi sono tre. Primo, ma è tesi vecchia: Burlando gioca a fare il Napolitano e dopo aver ripetuto di volersi fare da parte ora non esclude di accettare un terzo giro se il partito, in gramaglie e sfasciato, si presentasse a lui con il cappello in mano. Secondo: Burlando comincia a sentire odore di zolfo (un fronte anti-Paita crescente nel Pd, a prescindere da chi sarà o saranno gli sfidanti) e avvia lo smarcamento per evitare l’ennesima sconfitta dentro il partito, dopo quelle rimediate negli ultimi mesi. Terzo: vuoi vedere che volendo dare una mano alla “delfina” facendola uscire dal suo cono d’ombra, finisce invece per farle un danno? Perché l’elettore, puro di spirito, legge “io non appoggio Paita” e lì si ferma. Se il governatore ha ancora il consenso che vanta, Raffaella cominci a tremare.

Lui, invece, potrebbe ricorrere (“ho le mie preferenze, ma non sosterrò nessuno”) a un copione già noto: mettere il cappello sul vincitore delle primarie. Chiunque sia e da dovunque venga. Do you remember Marco Doria?