cronaca

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Arriva di colpo, in piena notte. Uccide, strazia. Sbatte uomini coraggiosi in un mare melmoso. Sbriciola una torre di cemento e acciaio. Uccide. Uccide ancora. Gente che lavora di notte per dare sicurezza alla grande e strana fabbrica.
 
Gente che lavora di notte dentro questa grande e strana fabbrica.
Morti e dispersi. Dispersi in una pozza di mare torbido, prigionieri nel fondo. La grande e strana fabbrica di Genova, citta' senza fabbriche. Ci accorgiamo del porto quando ci muore chi ci lavora. Solo allora noi genovesi che stiamo fuori dai confini del porto ci rendiamo conto che nella pancia della citta' c' e' la "grande e strana fabbrica".

Fatta di ferraglia, cemento, vecchi mattoni, pietre medioevali, legno. Motori. Argani e gru, rotaie che sembrano andare e finire in mare. Funi, corde, catene e cavi d'acciaio. E acqua. Tanta acqua tutt'intorno che a volte non ti accorgi di averla davanti ai piedi, mentre cammini sui moli o dietro alle spalle.

Il porto nostro si infila nella pancia della citta' antica, penetra in essa con il suo mare melmoso . E' dentro, tra strade e caruggi, con le navi e le pilotine e tanta gente che ci lavora.

Il porto è Genova eppure,spesso, la città fa finta di non conoscerlo. Lei sta da una parte, austera, l'altro là sotto, dove finiscono le pietre dei moli e le rotaie si buttano nel mare.

Poi, una notte, la tragedia. Sette vittime ,due dispersi, risucchiati dalla melma. Famiglie disperate, compagni di lavoro annichiliti. Sirene e lacrime.
Non e' giusto. (Mario Paternostro)