cronaca

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Molti anni fa mi affascinava un ragionamento genovese sicuramente perverso, secondo il quale se le squadre genovesi, il Genoa e la Samp, viaggiavano con il vento in poppa (evento abbasta eccezionale se esteso ad ambedue) voleva dire che, invece, la città stava soffrendo. Era l'inizio degli anni Novanta, nei quali Genova aveva come unica speranza il fatidico e prossimo Cinquecentenario della Scoperta d'America, appuntamento chiave che seguiva i Mondiali di calcio grazie ai quali uno stadio nuovo e un po' di soldi erano arrivati anche sotto la Lanterna.


Per il resto la Superba non attraversava una delle fasi migliori, sfiancata dagli anni di piombo, indebolita dalle crisi epocali delle sue grandi aziende di Stato, Italsider, Ansaldo, Italimpianti, Fincantieri, svuotata di occupazione, con un porto che non riusciva a completare un progetto di privatizzazione, una politica incerta tra giunte “bilanciate” in Regione e alternanze a Tursi, da Cerofolini, a Campart, a Merlo,a Burlando, al commissario Stelo......
Ma la Samdoria e il Genoa volavano. La Sampdoria si apprestava a vincere il suo storico scudetto, guidata da Paolo Mantovani, un genio degli affari, che comprava il meglio del mercato e lo donava alla società. Il Genoa, in scia, giocava uno dei migliori football del suo Dopoguerra e avrebbe conquistato il quarto posto e la Coppa Uefa, allenato da Bagnoli e nel regno del sciù Aldo Spinelli. Contestualmente era roba da leccarsi i baffi per gli amanti del pallone e per le due tifoserie.


Ricordo alla fine di quello storico campionato la città dipinta e mascherata con i colori delle due squadre, strade, piazze, scalinate. Via Fereggiano, per esempio, era un delirio rossoblù, uno striscione ogni chilometro fino a lassù, sulle colline e in cima la finezza di uno striscione rovesciato per ricordare le capriole di Skuravy, il bomber rossoblù che festeggiava in quel modo i suoi gol. Insomma le squadre si esaltavano mentre Genova soffriva. E oggi che, invece Genoa e Samp sembrano infilate in un baratro, quel ragionamento si può per caso capovolgere? Alcuni osservatori molto attenti negano, anche con un po' di ironia, che si possa svolgere un simile raffronto, mettendo sulla stessa bilancia il calcio e lo sviluppo della città, forzando il ragionamento. Cosa c'entra quello che vediamo in campo con lo scenario cittadino? Oggi poi le cose sono molto diverse da quel passato così rimpianto calcisticamente e civilmente un po' meno.

Allora Genova e Samp avevano alle loro presidenze un genovese doc come Spinelli e la Samp un genovese di adozione come Mantovani, ora sono nelle mani di due foresti che più estranei di così alla città non potrebbero essere ed anche invisi. Uno non vede allo stadio neppure le partite della sua squadra, perchè sempre contestato dai tifosi, l'altro ci va, ma sotto scorta armata.
Il calcio è molto cambiato da quell'esordio fantastico degli anni Novanta, in tutti i sensi e le proprietà delle società ondeggiano tra grandi fondi internazionali, proprietà asiatiche che arrivano dall'altra parte del mondo, nostalgici americani di ritorno e anche americani non nostalgici e ruvidi.
A Genova in questo senso tutto è più difficile e questa difficoltà del passare da abili e generosi”padroni” di casa, come Mantovani, Garrone da una parte, il solo Spinelli dall'altra, che Scerni ha dovuto pagare un pesante pegno al suo tentativo genoano, in qualche modo si specchia nello stato della città.
Non solo per il suo ridotto bacino di tifoserie e per lo scarso appeal internazionale.


Oggi è impossibile pensare che un imprenditore o una dinasty zeneise o affine si avvicini alle squadre, con i presidenti attuali quasi impiccati, prigionieri non tanto solo dei tifosi quanto delle loro vocazioni disdicevoli di mercanti o di affaristi. Ci ha pensato prima di cacciarsi nell'avventura Carige, Vittorio Malacalza, ma era stato come un pensiero dal sen fuggito. Cosa vuol dire questa difficoltà? Che la nostra economia, la nostra impresa non è più in grado, se non di concedere salva condotti, garanzie di passaggio, coperture di transito, come ha fatto Garrone nell'estenuante trattativa tra Ferrero e gli americani? Probabilmente sì, ma c'è anche il clima della città, ferita gravemente dal crollo del ponte, con alcuni suoi settori, come quello edilizio in ginocchio, obbligata a puntare tutto su infrastrutture moderne, da fare subito, forzando le politiche contrarie, convertendo partiti e movimenti. Pena lo straniamento della città, che continua ad avere - a proposito di infrastrutture - uno stadio-cesso per le sue condizioni, che Genoa e Samp trattano come il rifiuto della loro attività.

E invece lo stadio potrebbe essere proprio la cerniera tra le squadre che vanno male e la città che spinge per uscire dai tempi bui del ponte caduto e rilanciare i progetti sempiterni che giacciono in salamoia, il Water Front di Levante, l'Hennebique, la Gronda subito, i nuovi Ospedali, le nuove Calate portuali come Bettolo. Vuoi vedere che se tutto questo si mette veramente in moto, ripartono anche le squadre, più appetibili non solo da un emiro del Qatar, dal fondo cinese o yankee, ma da qualche genovese-italiano rilanciato dalla città in “ripartenza”. Come quando sul campo verde si ruba palla agli avversari e si lancia un contropiede perfetto. E Kuamè o Quagliarella la mettono dentro.