cronaca

Il Racconto di Genova. Critiche e elogi dei grandi viaggiatori/3
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 Chiedo lumi a Pippo Marcenaro che ha scritto bellissimi libri sui viaggiatori del Grand Tour arrivati a Genova, sul perché Montesquieu  le abbia affibbiato la qualifica di detèstable. E sia felice di lasciarla, e si auguri di non tornarci mai più. L’autostrada con le corsie uniche allora nel novembre del 1728 non c’era. Forse l’albergo? Andavano tutti al Croce di Malta di vico Morchi e lo elogiavano con molti complimenti come ha raccontato il professor Massimo Bacigalupo e testimoniato l’architetto Vittorio Laura nel libro Hotel de la Croix de Malte edito da  Tormena.
Pippo mi apre le pagine dei suoi libri.

Un Racconto di Genova (prossimamente a Primocanale) anche se più per immagini televisive che per parole, non può prescindere dai giudizi dei turisti. Montesquieu ci boccia, ma anche Rosa Luexembourg che abitò in via San Bartolomeo degli Armeni non ne rimase entusiasta.


 
“Sono da alcuni  giorni a Genova Superba, come essa si autodefinisce, mentre i toscani sono di altra opinione e dicono che qui vi sia mare senza pesce, montagne senza alberi uomini senza fede e donne senza vergogna”. Dal terrazzo di casa, però, la compagna Rosa si beava del panorama: “Il mare è la cosa fondamentale:  è stupendo. Lo vedo dalla mia camera tutto quanto il giorno e non me ne posso saziare”.

 
Giriamo con la telecamera nei vicoli e immaginiamo in piazza delle Oche lo sguardo curioso del giovane Einstein. Abitava in piazza delle Oche, Einstein , capite… e se non è un ossimoro Einstein in piazza delle Oche! Sta a Genova da uno zio mercante di grano all’ingrosso che ha il suo ufficio a pochi metri dalla chiesa delle Vigne. Scrive di ricordare il centro storico.
 
“Per mesi ho visitato i monumenti di Genova, la fantastica Strada Nuova.” Ma i vicoli intorno alle Vigne gli tornano in mente per un altro particolare. “A due passi da casa c’era una pasticceria stupefacente con una cornucopia di marmo come insegna. Mi sono fatto delle scorpacciate uniche”.
 
D'altronde anche Paul Valery tormentato dalla famosa Nuit de G^enes (in salita San Francesco 4 “…tutta la mia sorte si giocava nella mia testa…”) quando cambiò vita e modo di pensare, ricorda che Genova possiede “Cucine fragranti, “ e in particolare “torte gigantesche, farine di ceci, mescolanze, sardine all’olio, uova sode racchiuse nella pasta, torte di spinaci, fritture.”: Peccato, come annota Hans Barth: “Genova è chiamata la Superba. Tutti gli uomini superbi hanno un cattivo cuore, tutte le città superbe hanno un cattivo vino”.

Il Coronata? La Bianchetta? Bestemmia!
Il cibo è sempre un buon motivo per vivere una città.
In via Cairoli rimase per parecchi anni a insegnare la letteratura portoghese il grande scrittore Antonio Tabucchi, creatore del dottor Pereira. A parte l’amore per le funicolari come quelle della sua Lisbona, l’altro elemento essenziale è un odore genovese.
 
“Come Proust insegna, quello che muove la memoria sono gli odori e i sapori. Il mio odore di Genova è l’odore di minestrone che ho percepito per dodici anni nell’androne del mio istituto, che si trovava in un palazzo privato, piuttosto fatiscente. Era la portinaia che faceva il minestrone tutti i giorni. Quando io arrivavo sentivo questo odore che si mescolava alla grammatica storica, alla filologia, alla sintassi, alla letteratura”.
Riprendere con le telecamere l’odore di minestrone è impossibile. Anche perché le deliziose portinaie alla Simenon, che presidiavano la vita di un condominio chiuse nei loro gabbiotti col gatto, e informavano più dei social, non esistono quasi più. Via le antiche portinaie, via l’odore dei loro minestroni.
Gli odori dei vicoli oggi sono un miscuglio. Aglio e kebab, tanto da spingere Marcenaro nel suo raffinato “Passaporti” a chiamare via Pré “suq”. 
 
Ci rifugiamo a cercare odori nella bottega reale di Torrielli che prepara l’incredibile antitarme alle erbe e dal sacco di iuta che le conserva escono aromi e anici stellati, nella piccola drogheria in zona Pollaiuoli che vende il profumato sapone anti crampi, tra le trippaglie storiche di vico Casana (grazie alla Sovrintendenza che allora tutelò le straordinarie pentole di rame per la “sbira” !).
Il nostro Racconto di Genova senza gli odori e i profumi (i pitosfori di Paolo Villaggio in corso Italia non ci sono più?) che racconto sarebbe?
Senza odori Genova perderebbe fascino e misteri. E forse senza misteri e grigi non sarebbe più la “città più inglese d’Italia”? Ma lo è (stata?). O è una banalità?
 
Ci aiuta Guido Piovene (“Viaggio in Italia”) che descrive Genova come una città misteriosa quanto Londra. “L’altra città europea fatta a compartimenti stagni. Londra è un incastro di ambienti segreti l’uno all’altro. L’animo può così giocare al mistero, compiacersi in acrobazie che oggi si direbbero metafisiche…..ma Genova è forse l’unica che susciti la fantasia di retroscena clandestini. A un  libro giallo se si svolge a Genova si riesce a credervi o quasi. E proprio come Londra , Genova ha la speciale teatralità degli esseri e delle vicende su cui si sente pendere qualche cosa di occulto”!
 
Eppure Pippo Marcenaro non si convince. Anzi: “Il guaio di Genova o dell’ipotetico scrittore che dovrebbe raccontarla , sta in un pernicioso quanto esagerato scetticismo. La città è così refrattaria che le è impossibile credere a una propria immortalità dentro alle pagine di un libro affidata a un oggetto di carta”.
 
Spegniamo la telecamera e ci fermiamo davanti alla Cremeria Buonafede per la magica tazzina di panera. Forse era questo il luogo prediletto di Einstein? O più in là, il caffè Klainguti dove Giuseppe Verdi gustava i Falstaff (“I vostri sono meglio del mio…”).? O tra i canditi di Romanengo?
Può esistere un Racconto di Genova televisivo senza panera e canditi? Minestrone o trippe? No. Non può.