cronaca

4 minuti e 36 secondi di lettura
Siamo ancora spaesati. Due anni dopo le 43 croci sono diventate alberi nella radura sotto il ponte nuovo, luccicante, già pieno di traffico. Le sirene delle navi e le campane di tutte le chiese rompono insieme un silenzio pieno di lacrime trattenute, alle 11,36, l’ora della tragedia. E vengono i brividi, in questo giorno di commemorazione, di messe sacre, di brevi discorsi, di targhe scoperte con i nomi scolpiti, di musica nell’aria ferma della Valpolcevera, di fiaccolate che convergono proprio qui, nella radura della memoria, sotto il ponte, tra case che non ci sono più e spazi nuovi e rumori diversi.

Ma siamo ancora spaesati, come ha detto Renzo Piano nel giorno dell’inaugurazione, dieci giorni prima di questa cerimonia, in un discorso breve e forte, il vero discorso della tragedia due anni dopo, l’”orazione” _ scriverebbero i latini_ che marca questo tempo, segna questo dolore, indica la strada che parte dal ponte vecchio, che si piange ancora e dal ponte nuovo, che è come una nave nel verde-blù di questa valle, diventata il cuore di Genova da quel 14 agosto.

Ricordiamo sempre le date terribili, quelle delle sciagure della nostra storia e così ricorderemo questo 14 agosto, che a ogni suo scadere ci porterà sotto il Ponte nuovo, ronzante di traffico dopo i due anni di silenzio, a ricordare i 43 inghiottiti dal vuoto assassino. Partiamo anche noi da questo ponte nuovo, dalla sua nave, che ci fa ripartire, ma siamo a bordo spaesati. Prima di tutto perché non è ancora stata fatta giustizia e quella tragedia, improvvisa come le saette di quel temporale estivo del giorno fatale, non ha ancora responsabili.

Per ora solo un grande e complicato processo, che i giudici penali portano avanti tra incidenti probatori, avvisi di garanzia per quasi ottanta dirigenti, funzionari, impiegati della società Autostrade, del Ministero dei Trasporti, che prima era dei Lavori Pubblici. Dicono che entro il 2021 l’inchiesta sarà conclusa e siintravvederà l’aula di un processo, il banco degli imputati, la resa dei conti, insomma, per una delle tragedie più dure da accettare dell’Italia moderna.

Siamo spaesati su questa nave fantastica, disegnata da Piano e realizzata in un tempo che nessuno si aspettava dal Commissario Marco Bucci e dalla sua squadra, dal suo squadrone, il sindaco diventato in questi due anni come un gigante a Genova, perché aspettiamo quella giustizia, non per ansia di vendetta ma perché non si può morire come è morto Mirko, l’operaio sepolto dal ponte che cadeva, come Samuele il più piccolo, il bambino di otto anni, che è volato con la sua famiglia nel vuoto improvviso sotto le ruote dell’automobile che lo portava in vacanza e gli altri 41 che erano lì perché il destino li ha chiamati a quell’ora in quel punto e ci potevo essere io e ci potevi essere tu e chiunque a farsi ammazzare dall’incuria degli uomini, che hanno lasciato marcire quel ponte di soli 55 anni. “Sistema marcio”_ dice Egle Possetti dalla radura della memoria , rappresentando tutte le vittime in un discorso severo, duro, fermo, dopo che hanno pregato il vescovo Marco Tasca, vestito con il suo saio francescano, l’Iman Hussein con il suo capello bianco e hanno parlato il sindaco-artefice Bucci, il presidente regionale Toti, e quello del Consiglio Conte, che era qui per la decima volta in due anni.

Ma quel sistema marcio delle concessioni, dei controlli mancati è in gran parte ancora lì, nelle discussioni politiche infinite, in una revoca della concessione che non si è ancora compiuta, in manovre da sotto corridoio politico, con i Benetton ancora azionisti “pieni” e i nuovi assetti in bilico, come lo sono i ponti autostradali e le gallerie di questa regione bellissima e sfortunata. Siano spaesati e dobbiamo ancora elaborare questo lutto, anche perché quel sistema esiste e il bubbone spurga impunemente sulle nostre autostrade, bloccate dai cantieri, sotto le gallerie chiuse perché dopo il Morandi e “grazie” al Morandi e alla sua immane tragedia, con annesse inchieste, hanno scoperto che quel marcio era dappertutto.


E ora paghiamo altri prezzi dopo quello pagato con le 43 vite del 14 agosto, con la città spezzata, con la Liguria isolata, con la catastrofe economica che si ripete anche peggio di due anni fa. Siamo spaesati e silenziosi nel giorno di due anni dopo, nella luce di una estate calda, quando quel giorno anche il cielo buio segnava la tragedia e le urla dei primi che videro e capirono ci suonano ancora nelle orecchie, ci colpiscono gli occhi, nei filmati che tornano indietro e provocano lo stesso strazio, nelle ricostruzioni di questi giorni incombenti, dove tutto sembra un po’ mescolarsi, la memoria, il dolore, la rabbia, la sofferenza di un tempo così difficile per tutti.
Anche quelle sirene e quelle campane e quelle fiaccole nelle strade martoriate della valle dei nostri dolori, e anche un po’ della nostra riscossa, mescolano i sentimenti.

Le sirene del porto sono la nostra anima, il loro urlo è la nostra storia profonda, indimenticabile. Le campane segnano sempre il nostro tempo, sono, insieme, il lutto e la speranza della rinascita, a seconda dei loro rintocchi. Le fiaccole sono, comunque, la luce che vince contro il buio, anche sotto il ponte, anche in quella radura dei 43 alberi, che sono le croci di una data che non si cancella.