L’irruzione notturna della polizia all’interno della scuola Diaz durante il G8 di Genova è una delle pagine più buie della nostra storia, non solo recente. Come sappiamo, la sera di sabato 21 luglio all’interno dell'edificio le forze dell’ordine che cercavano i Black bloc che non avevano arrestato nel corso degli scontri trovano soltanto ragazze e ragazzi, giornalisti e attivisti che dormivano nella palestra e nei corridoi. Non fu fatta distinzione e li massacrarono tutti brutalmente. Furono le telecamere di Primocanale a mostrare in diretta quei volti coperti di sangue, quei corpi martoriati, quei giovani fatti uscire in barella o a mani alzate: immagini che fecero inorridire il mondo, si parlò di ‘macelleria messicana’.
Ieri sera una dozzina tra gli sfortunati protagonisti di quella vicenda che rappresenta una ferita che rimarginare sarà impossibile sono tornati lì dove accadde tutto. Con grande coraggio, mi viene da dire, o forse per esorcizzare definitivamente dopo vent’anni ciò che furono costretti a subire. Hanno cercato e ottenuto il massimo riserbo, senza rilasciare interviste, dribblando telecamere e flash dei fotografi. Nel piazzale della scuola si erano date appuntamento circa trecento persone per le quali evidentemente l’appello di allora - ‘Un altro mondo è possibile’ - continua a rappresentare un’urgenza, forse ancora maggiore.
Si è stati insieme un’ora e mentre i discorsi e le ricostruzioni di quella sera si alternavano a momenti musicali, le vittime sono entrate dentro la palestra quasi di soppiatto, in fila indiana, uno dietro l’altro, in testa il collega Mark Covell che finì in coma, a rivedere quegli spazi, quelle aule, quei corridoi che chissà quante volte avranno popolato i loro incubi e che forse adesso – senza urla, senza sangue, senza violenza gratuita - potranno essere loro utili se non a dimenticare quanto meno ad allontanare i fantasmi del passato. Chissà.
cronaca
Diaz, il ritorno delle vittime nel riserbo più assoluto
A vent’anni dalla tragica notte del G8
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