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Il commissariamento di Carige è un fatto senza precedenti nella storia bancaria del nostro paese: è infatti la prima volta che un istituto di credito quotato in borsa viene commissariato dalla Banca Centrale Europea e, fatto ancora più insolito, non era mai accaduto che due commissari su tre scelti a Francoforte fossero membri del Consiglio di Amministrazione uscente.
Una strana anomalia che rende ancora più complicata la vicenda attorno alla banca genovese.

Il commissariamento è dovuto alle dimissioni della maggioranza del consiglio di amministrazione, a loro volte legate al dissenso generato dalla decisione dell’assemblea dei soci, su input dell’azionista di maggioranza Malacalza, di negare l’aumento di capitale di 400 milioni di Euro.

L’aumento, a sua volta, era un atto già concordato con la Bce in seguito all’aiuto concesso dal Fondo Interbancario (320 milioni in obbligazioni subordinate): il mancato rispetto di quell’accordo, su cui per la verità i Malacalza avevano espresso perplessità, ha generato il caos che ha portato ai fatti di oggi.

Ma riannodando i fili di questa intricata matassa appare evidente che il grande sconfitto, in questa vicenda, sia Vittorio Malacalza: la Bce chiede l’aumento di capitale, Malacalza lo nega, il cda in contrasto con questa decisione si dimette, la Bce decide il commissariamento e sceglie, come commissari, gli stessi esponenti del vecchio Cda. Una chiara mossa per riprendere il discorso da dove l’assemblea dei soci l’aveva interrotto.

Ora, infatti, i commissari non risponderanno più ai soci ma alla Bce: non più a Malacalza, quindi, ma a Francoforte. Il piano industriale, le strategie future, persino le possibilità di aggregazioni con altre banche, non saranno più oggetto dello scrutinio dei proprietari di Carige. Le decisioni cruciali per la cassa di risparmio saranno prese lontano da Genova.

Ma perché Malacalza ha voluto negare la nuova iniezione di denaro nel capitale sociale della banca? Con il 27,5% di azioni, la Malacalza Investimenti avrebbe dovuto versare altri 110 milioni per non perdere quote azionarie, un salasso ulteriore dopo avere già investito, così sostengono i legali della famiglia, almeno 400 milioni in diverse operazioni di salvataggio. Tutte vane, visto il risultato.

Ma aver disatteso un impegno formalmente già assunto è costato ora a tutta l’assemblea dei soci il controllo sull’istituto.

Cosa succederà adesso? In una prima fase i commissari dovranno, secondo quanto ha già reso noto la Bce, trovare il modo di ricapitalizzare la banca in modo sostenibile. Come faranno non è facile dirlo: senza una robusta iniezione di capitali, il prestito del Fondo Interbancario potrebbe essere convertito in Common Equity, rafforzando il patrimonio senza che i soci debbano mettere mano al portafogli.

Poi, però, la banca dovrà essere stabilizzata con un’aggregazione: un’ipotesi che aleggia da anni ma che finora è sempre rimasta sullo sfondo.

Cosa significa per Genova? Arrivati a questo punto sembra sempre più inevitabile che Carige arrivi a fondersi con altri istituti più grandi: questo porterà alla progressiva perdita di peso territoriale della banca, che è l’aspetto che più preoccupa le istituzioni locali.

Un terremoto da cui la città rischia di uscire più povera e marginale di prima.