cronaca

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Ciascuno di noi ha una “cifra” sintetica che lo può definire, sancendo la sua unicità e irripetibilità. Può capitare che, in forza della molteplicità delle funzioni e dei ruoli svolti, tale cifra non sia facilmente percepibile e vada scoperta con pazienza. E può capitare che l’amicizia possa fare velo alla compiuta comprensione della complessità di una persona, specialmente se essa appartiene a un’altra generazione.

Ripenso a queste cose mentre mi chiedo quale sia stata la “cifra” del prof. Lorenzo Acquarone, stroncato due giorni fa nella sua abitazione genovese dal coronavirus. Proviamo a scorrerne, anche solo di sfuggita, l’esperienza di vita.

Egli fu professore, anzitutto. Certo, Acquarone è stato, sino all’ultimo, avvocato e, per molti anni, politico e parlamentare. Ma egli era prima e più di tutto un professore di diritto amministrativo, che aveva nel sangue, come ogni professore degno di questo nome, la preoccupazione di convincere l’interlocutore prima ancora che di vincere (e vincere le cause non è che non gli piacesse …). Vi sono avvocati per i quali la professione universitaria è in fondo un complemento, una cosa che vale soprattutto nella carta intestata. Non così per lui. E il fascino che ha emanato per generazioni di studenti e allievi (e lo scrive un suo laureato!) nasceva dalla percezione di questa priorità, di questo innamoramento. Per lui professare un insegnamento universitario significava portare lo studente a cogliere realisticamente il nucleo di un istituto, di un principio, di una procedura.

Da autentico principe del foro, amava stupire e, talvolta, portare il ragionamento alle estreme conseguenze. Ma non prediligeva il bluff, la vanteria, anche se in tante occasioni avrebbe potuto giovarsene, perché la sua forza stava nella logica dell’argomentazione e nel realismo con cui guardava all’amministrazione e agli uomini e alle donne che la incarnavano.

La politica la affrontò da notabile, si sarebbe detto un tempo. Ma da notabile coinvolto, colto, preparato, con un disincanto non distaccato. Fu, tra i presidenti d’Aula, uno dei più amati: certo, perché conosceva i regolamenti e si sapeva districare, ma soprattutto perché era affidabile, a prescindere dalla casacca del partito, dal ruolo di maggioranza o da quello di opposizione, e perché sapeva cogliere al volo il nocciolo di un problema politico o normativo.

Ecco, egli sapeva intuire il nucleo essenziale di una persona, di una questione interpretativa, di una scelta politico-amministrativa: qui sta forse la sua “cifra”, la sua peculiarità. So che gli devo molto. Non me ne volle, o almeno non troppo, perché scelsi il diritto costituzionale invece che quello amministrativo e, nella mia esperienza istituzionale (governo, parlamento, Csm), non mancò mai di incoraggiarmi e di sostenermi, anche senza che lo sapessi.

Aveva preparato nei dettagli,
al solito, anche le proprie esequie, il commiato dalla vita terrena. Il mistero della vita gioca scherzi e sorprende, anche chi gli scherzi li ha sempre amati, e quei dettagli non possono in questo periodo essere eseguiti. Ma gli amici, gli allievi, i colleghi non dimenticheranno il professor Acquarone e la sua famiglia. Alla signora Elsa, a Roberta e a Giovanni va il mio pensiero affettuoso. Lorenz(in)o muore in piedi, come in piedi e con dignità è sempre vissuto. E se ne va da cristiano, come da cristiano è vissuto.

*Renato Balduzzi è un giurista, accademico e politico italiano, professore ordinario di diritto costituzionale all'Università Cattolica del Sacro Cuore, con un passato all'Università di Genova. Esperto di diritto costituzionale della salute e di diritto sanitario, è stato Ministro della salute del Governo Monti.
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