È facile capire cosa abbia alimentato la passione di Guillermo Del Toro per Frankenstein: la rivoluzionaria creazione di Mary Shelley è la storia di mostri per eccellenza e tutte le creature del regista messicano possiedono una simile tristezza nell'anima. Le influenze dell'horror gotico hanno sempre permeato la sua opera, da Cronos alla Forma dell’acqua che ha vinto il Leone d’Oro e quattro Oscar passando per Il labirinto del fauno. Un incontro, quello con questo immortale romanzo, che è la sontuosa rivisitazione di un mito che sfida i generi e rende omaggio all'essenza del libro, non tanto come puro horror quanto come tragedia romantica e riflessione filosofica su cosa significhi essere umani.
La trama
Molti potrebbero pensare di conoscere la storia, visti i suoi numerosi adattamenti ma qui ci si avvicina davvero al materiale originale mantenendo la cornice narrativa che vede Victor Frankenstein (Oscar Isaac) incrociare una spedizione artica mentre una creatura mostruosa lo insegue. A bordo, con il capitano, ripercorre le proprie origini parlando della sua storia familiare, della sua educazione e della sua ossessione per la vittoria sulla morte fin dalla scomparsa della madre (Mia Goth). Durante gli studi all'estero, i suoi interessi catturano l'attenzione di un capitalista diventato ricco vendendo armi (Christoph Waltz) e accetta di finanziare le sue esplorazioni scientifiche come mezzo per sconfiggere la morte. La vicinanza a quest'uomo gli fa conoscere la nipote Elizabeth (anch'essa interpretata da Goth), fidanzata con il fratello minore. Una volta che ha dato vita al mostro (Jacob Elordi) Victor è disgustato dalla creazione e giura di distruggerla. Tuttavia, la morte non è così facile per questa creatura che attraversa una vera e propria odissea per poi incrociare nuovamente il cammino del suo creatore e cercare una qualche forma di vendetta.

Esplora la nostra capacità di essere crudeli
Quando Frankenstein venne pubblicato nel 1818 – inizialmente in forma anonima – le simpatie del pubblico dell'epoca si concentrarono principalmente sullo scienziato. Solo nei secoli successivi si accettò l'interpretazione secondo cui l'elemento veramente "mostruoso" della storia non era la creatura nata artificialmente ma piuttosto il suo creatore egocentrico e una società intollerante. È questa la lettura che sottolinea Del Toro con la sua affinità per le favole che rivelano una verità oscura sulla condizione umana o anche solo una scintilla di speranza che può accendersi da visioni così tormentate dell'umanità. Rimanendo fedele al materiale originale il regista esplora la nostra capacità di essere crudeli, la morte che ci infliggiamo con la guerra e la catarsi del perdono: tutti concetti che tra l’altro rendono Frankenstein rilevante anche nell'attuale politica mondiale e nella ferocia dei social media.
Una creatura maledetta dalla vita
Secondo del Toro, la pietosa creatura è stata maledetta dalla vita, non può essere uccisa (non riescono a fermarla nemmeno i proiettili) e deve affrontare la stessa crisi esistenziale che affligge tutti noi. Nessuno chiede di nascere, ma una volta gettati al mondo ognuno deve trovare il proprio scopo. La sua visione della creazione di Victor Frankenstein qui porta con sé poco dell'orrore corporeo che ha sempre afflitto le versioni popolari della storia, da Boris Karloff a Robert De Niro. Qui la Creatura è eterea: una creazione, mai un errore. Un essere nato dall'amore, non dall'odio che è arrivato dopo e la citazione di Byron che chiude il film — "E così il cuore si spezzerà e tuttavia, spezzato, continuerà a vivere" — indica chiaramente la visione di un regista dall’immaginazione titanica che ha attraversato tutta la sua carriera stravolgendo i generi e trovando il cuore in ciò che spesso erroneamente riteniamo mostruoso.
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