Cultura e spettacolo

Splendori e miserie di Hollywood negli anni Trenta
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Da un batterista che insegue a tutti i costi il suo sogno musicale (Whiplash) a uno sguardo impietoso su Neil Armstrong (First man – Il primo uomo) passando per una pianista e attrice jazz che vuole sfondare a Los Angeles (La la land) nessun regista ha mappato il lato tragico delle ambizioni e dei grandi sogni con tanto amore cinematografico come Damien Chazelle e il regista americano conferma ancora una volta questo talento in 'Babylon' che rende omaggio alla settima arte attraverso i suoi grandi periodi di transizione, il passaggio dal muto al sonoro al film musicale e al Technicolor, attraverso un gruppo di personaggi che – tra follia, passione e miserie - vivono entrambe le epoche con alterne fortune.

'Babylon' si concentra su un trio di anime perdute che alla fine dell'era del muto svolazzano per una Hollywood ritratta come un baccanale da tutti contro tutti: Nellie LaRoy (Margot Robbie), ragazza che vuole entrare nel mondo del cinema; Jack Conrad (Brad Pitt), stella di successo ma certamente non felice e Manny Torres (Diego Calva) che preferisce lavorare dietro le quinte iniziando come assistente della grande star e scalando gradualmente lo studio-system. Vedremo cambiare le loro vite e le loro carriere mentre il mondo del cinema cambia insieme a loro ma all'alba delle nuove tecnologie chi dei nostri eroi riuscirà a sopravvivere a questa transizione?

Da più di 100 anni Hollywood è una fabbrica di storie e spettacoli che ci hanno divertito o trasportato in un'altra realtà anche se tutto ciò è stato ottenuto distruggendo un numero enorme di persone che ci hanno lavorato. Una terra di sogni e devastazione, dualità che Chazelle cattura in un film titanico usando i suoi eccessi per criticare l'industria cinematografica riconoscendone e celebrandone nello stesso tempo la magia e la capacità di generare emozioni. Se 'La La Land' era una solare lettera d'amore alla città di Los Angeles, 'Babylon' è il suo cinico contraltare che ci mostra come non tutto sia sfarzo e glamour nonostante l'opulenza e lo splendore che ci viene trasmesso. Un regista che più volte ha raccontato i suoi eroi arrivare in vetta questa volta guarda cosa accade mentre si perdono nelle profondità dell'oblio disegnando l'ascesa e la caduta di personaggi che desiderano far parte di "qualcosa di più grande" condividendo sogni e cocaina, inedito avvocato difensore dei tanti che sono stati masticati e sputati dalla città dei sogni.

Molto lontano da film che hanno affrontato temi simili come Singin' in the Rain di Stanley Donen e Gene Kelly, Viale del tramonto di Billy Wilder, Il giorno della locusta di John Schlesinger o Gli ultimi fuochi di Elia Kazan, Chazelle va giù pesante e inonda la vicenda di escrementi, droga, orge, cadaveri, arroganza, narcisismo e perfino sadomasochismo cercando di evocare emozioni piuttosto che raccontare una storia, accumulando un'idea dopo un'altra e saltando tra commedia e dramma. Di gran lunga il più ambizioso tra i suoi film, gigantesco e a tratti affascinante, pure si perde in una durata francamente superflua - oltre tre ore – dal momento che molto si poteva tagliare così come alcuni personaggi secondari.

Detto questo non si può non riconoscere che 'Babylon' – che con malinconica disinvoltura pensa in grande, mira in grande e agisce in grande – oltre ad essere un'ode appassionata al cinema di una volta, libertino decadente e spensierato, è anche il fragoroso rantolo della fabbrica dei sogni per eccellenza. E se la sceneggiatura non è in alcun modo originale né sempre focalizzata sui suoi obiettivi, è di quelle che aiutano a perpetuare la memoria, ricordandoci da dove viene quello che vediamo e – in parte - dove vuole andare.