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Auguri a Marcello Mastroianni che oggi avrebbe compiuto 99 anni. E' stato tra i maggiori interpreti italiani di tutti i tempi, uno degli attori più conosciuti e apprezzati all'estero dagli anni Sessanta in poi soprattutto per i ruoli da protagonista nei film di Fellini e per le pellicole recitate in coppia con Sophia Loren, capace di destreggiarsi perfettamente sia nei ruoli drammatici che in quelli comici, tra i grandi della commedia all'italiana insieme a Alberto Sordi, Ugo Tognazzi, Vittorio Gassman e Nino Manfredi.

Per tre volte candidato all'Oscar al miglior attore: per 'Divorzio all'italiana' (1963), 'Una giornata particolare' (1977) e 'Oci ciornie' di Nikita Mikhalkov (1988). Ha vinto due Golden Globe, otto David di Donatello, altrettanti Nastri d'argento, due premi per l'interpretazione al Festival di Cannes e altrettante volte la Coppa Volpi alla Mostra di Venezia che gli ha conferito il Leone d'oro alla carriera nel 1990.

Lo ricordiamo con 'Matrimonio all'italiana' (tratto da 'Filomena Marturano' di Eduardo De Filippo) che lo vede accanto a Sophia Loren nel ruolo di Domenico Soriano, impenitente donnaiolo legato ad un'ex prostituta da una relazione più che ventennale che ha accolto in casa propria come badante dell'anziana madre, risoluto a tenerla con sé soltanto come amante ma illudendola di poter aspirare a qualcosa di più. Appresa la notizia dell'imminente matrimonio di lui con una giovanissima cassiera della sua pasticceria, Filumena finge di sentirsi male e chiede l'intervento di un prete per l'estrema unzione. A lui la donna comunica il suo ultimo desiderio, quello di sposare Domenico sebbene sia ormai in punto di morte. Il sacerdote li sposa e la clip ci mostra quello che succede dopo.

 

 

 

 

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                          Nel 1971 i

 

MATRIMONIO ALL’ITALIANA   Vittorio De Sica 1964

Da Filumena Marturano

 

 

 

Una carrellata di cento anni di film girati a Genova a partire da Alfred Hitchcock che utilizzò il porto per ambientarvi alcune scene della sua opera prima, 'The pleasure garden' nel 1925, fino alla Nicole Kidman di 'Grace di Monaco' o a Stefano Accorsi e Jasmine Trinca insieme in 'Fortunata' di Sergio Castellitto. Il capoluogo ligure, con le sue bellezze e le sue unicità, è stato spesso set naturale per moltissime pellicole, e dei generi più vari. Tutto questo viene testimoniato da una bella mostra fotografica, 'La Liguria nel cinema – Genova', ospitata fino al 15 dicembre
presso “La Fabbrica delle Immagini – Voltini Lab” del Centro Civico Buranello di Sampierdarena.

Realizzata dall’associazione culturale Paperjam con la consulenza di Renato Venturelli, attraverso una quarantina di film permette non solo di mettere in moto la macchina dei ricordi, ma soprattutto di ricostruire il modo in cui l’immagine della città si è evoluta nel corso di un secolo con il porto, i caruggi e il centro storico da un lato e i quartieri moderni, la stagione delle fabbriche e delle industrie, i grattacieli di piazza Dante, il Porto Antico la sopraelevata che da sessant’anni disegna prepotentemente l’iconografia genovese di tanti film dall'altro.

Tra i titoli italiani troviamo i “poliziotteschi” degli anni ’70 ('La polizia incrimina, la legge assolve' con Franco Nero che vanta uno spettacolare inseguimento di otto minuti tra porto, sopraelevata e la A12 ma anche 'Genova a mano armata' con la 'Bond girl' Maud Adams), 'Profumo di donna' di Dino Risi, 'Joan Lui' di Adriano Celentano, 'Stregati' di Francesco Nuti ma anche 'Che tempi!' con Gilberto Govi, 'Achtung! Banditi!' di Carlo Lizzani con una giovanissima Gina Lollobrigida o 'La tratta delle bianche' di Luigi Comencini con Sophia Loren quando ancora si faceva chiamare Sofia Lazzaro.

Tra i film stranieri spiccano 'Le mura di Malapaga' con Jean Gabin, 'I giorni dello sciacallo' di Fred Zinnemann, 'Genova' di Michael Winterbottom con il premio Oscar Colin Firth, 'Diaz – Non pulite questo sangue' di Daniele Vicari, 'Interpol' con Victor Mature dove Genova non viene mai nominata ma si vedono il ponte di Carignano, salita Santa Brigida, il porto, il quartiere del Carmine e tanti altri luoghi spacciati di volta in volta per Atene, Lisbona, Roma, New York e i già citati 'The Pleasure Garden' e 'Grace di Monaco'.

La mostra è aperta al pubblico a ingresso libero dal martedì al venerdì (16-19) e si potranno concordare con il 'Club Amici del Cinema' che ha sede sempre a Sampierdarena in via Rolando aperture particolari per visite di scuole e altri gruppi.

 

"In realtà non mi aspettavo niente. E' chiaro, se fai una cosa vuoi che abbia successo ma già ritornare qui al Teatro Sociale di Camogli per la nona replica e avere in cantiere una tournée che l'anno prossimo ci porterà in giro per l'Italia  e persino in Svizzera, beh, era davvero difficile prevederlo". Continua insomma ad essere stupito, Tullio Solenghi, travolto - lui, Elisabetta Pozzi che lo accompagna sul palcoscenico e la loro giovane compagnia - dall'entusiasmo con cui è stato accolto in tutti questi mesi 'I maneggi per maritare una figlia', uno dei grandi cavalli di battaglia di Gilberto Govi. Poi però una spiegazione se la dà: "In fondo credo che quando si recupera con affetto e rispetto un mito della nostra storia può capitare anche questo".

Il rispetto sta anche nel fatto che hai deciso di clonarlo perché Govi non è imitabile?
"Perché Govi è una maschera, quindi il clonarlo era per me dargli l'assoluta dignità di una grande maschera del teatro, come ai suoi tempi era riconosciuto da altre grandi maschere come Macario e Totò. Diciamo una sorta di dedizione totale alla figura di questo straordinario artista dal quale tutti noi siamo partiti".

Da genovese che significato ha mettersi questa maschera?

"E' la quadratura del cerchio. Ho sempre sognato fare qualcosa che mi tenesse ancorato alla mia terra e a maggior ragione da quando sono stato costretto ad andare a vivere a Roma per il Trio. Per tornare alle proprie origini chi c'era meglio di Govi che ho sempre sognato di portare in scena fin da ragazzino?"

"Poi ho sempre coltivato il dialetto in maniera a volte quasi maniacale dagli anni in cui quasi ti costringevano a parlare in italiano perché era considerato una storpiatura della nostra lingua. Io invece l'ho sempre considerato il nostro DNA, la nostra cultura, la nostra storia. E Govi mi dà possibilità immense".

Qual è stato il momento più difficile nel rapportarsi a lui?
"Capire che tipo di impatto avrebbe potuto avere sul pubblico. C'erano due strade. Il rischio era che potessero dire: mamma mia, questo si mette a fare Govi ed è una brutta copia dell'originale. Poi c'era la variante B che per fortuna è quella che si è realizzata: Tullio ci porta per mano in questa sorta di rito collettivo. Perché - io lo  racconto sempre - ci sono battute che dico insieme al pubblico che viene proprio per sentire quello che sentirà: la celebre 'Cesarino con le braghe dell'anno passato' fa parte della loro infanzia, della loro storia e della loro cultura".

Cinquantacinque spettacoli all'insegna della comicità, dell'improvvisazione, delle giovani eccellenze teatrali e di un teatro per famiglie e bambini per accontentare i gusti di un pubblico il più ampio possibile. Prende il via il 6 ottobre la nuova stagione del Teatro Garage che gli organizzatori riassumono con tre sostantivi: qualità, ricchezza e varietà. In più continuano la collaborazione con tante compagnie emergenti provenienti da tutta Italia e la sinergia con altri teatri liguri con i quali gli spettacoli verranno scambiati a rotazione.

“C'è attenzione – spiega la direttrice artistica Maria Grazia Tirasso - a un teatro di idee ma non fini a se stesse. C'è un progetto, un pensiero dietro a ognuno di questi spettacoli che possono essere divertenti, comici, riflessivi o drammatici. Insomma, un pò per tutti i gusti”

Tre le rassegne in cartellone che verranno presentate nella Sala Diana, gioiellino da 100 posti in via Paggi, nel quartiere di s. Fruttuoso, 'Giovani Eccellenze Teatrali", Teatro di improvvisazione e "Ti racconto una fiaba", oltre ai confermati progetti "Spirali" e "Da Salotto". Poi corsi per adulti e ragazzi, due appuntamenti dedicati alla musica e un capodanno da passare insieme a Marco Rinaldi dei Bruciabaracche con "Lo spettacolo lo fate voi" durante il quale sarà il pubblico a decidere quali protagonsti l'attore dovrà impersonare.

L’immigrazione nell’ideologia occidentale è indissolubilmente legata alla metafora dei barbari la cui missione principale è quella di invaderci. Dino Buzzati ne 'Il deserto dei tartari' immaginava il confine come un luogo inospitale che viveva nell'attesa sempre rimandata dell'arrivo del nemico e il vuoto di quell'infinito ritardo resta ancora adesso l'immagine perfetta dell'assurdità di fondo che sottende. Il problema lo affronta adesso con 'Io capitano' Matteo Garrone, vincitore del Leone d'argento per la regia alla Mostra di Venezia e candidato italiano agli Oscar, che dopo aver affrontato il realismo gangsteristico ('Gomorra', 'Dogman'), la commedia satirica ('Reality') e il fantasy barocco ('Il racconto dei racconti') vira al dramma di grande attualità mettendo in scena il viaggio di due cugini sedicenni, Seydou e Moussa, da Dakar, in Senegal, attraverso il deserto fino alla Libia dove tenteranno la traversata del Mediterraneo a bordo di una carretta del mare.

Seydou che vive con la madre e le sorelle in una una casa minuscola e fatiscente all'inizio è riluttante. Solo dopo aver consultato uno stregone del paese che dà la sua benedizione viene convinto dal cugino a salire su un autobus per il Mali e il Niger con i soldi che hanno risparmiato. Mentre si confrontano con la dura realtà del viaggio, l'esuberanza giovanile dei ragazzi si trasforma in un vero e proprio orrore: vengono derubati da fornitori di documenti d’identità falsi e guardie di frontiera, arrestati e torturati prima di essere costretti ad attraversare il Sahara a piedi. Arrivati in Libia, i delinquenti che organizzano il viaggio su uno sgangherato peschereccio affidano l'imbarcazione allo stesso Seydou (“hai 16 anni e non rischi nulla”) dopo avergli fornito qualche sommaria e minima indicazione: l’Europa è proprio lì, tutto quello che devi fare è dirigerti sempre verso il nord. Lui diventerà il capitano coraggioso di un imbarcazione dove manca l'acqua, piena di gente stipata all'inverosimile con una donna incinta in procinto di partorire.

Scritto dallo stesso Garrone con tre italiani avvalendosi della collaborazione di diversi africani che gli hanno raccontato i loro viaggi – in particolare un giovane ivoriano fuggito dalla guerra civile che devastava il suo paese oggi mediatore interculturale a Caserta - è un film che ribalta l'immaginario classico, quello della paura del diverso e del povero, in una sorta di controcampo rispetto alle immagini che siamo abituati a vedere dal nostro punto di vista occidentale, per raccontarci la più archetipica delle storie: 'L'Odissea'. In questo caso quella di un emigrante, tracciando le difficoltà e le ingiustizie che i sub-sahariani che vogliono raggiungere l’Europa sono costretti a subire.