Cronaca

La genesi e la filosofia dei quattro anni d'indagini, la differenza fra disinteressate donazioni e regali per corrompere. La procura aveva anche ipotizzato il reato di associazione a delinquere. I nomi dei trenta indagati
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GENOVA - L'ex presidente del porto Signorini se prende delle decisioni a favore dell'imprenditore portuale Aldo Spinelli poi deve stare attento a non ricevere benefit, soggiorni a Montecarlo o Las Vegas, da Spinelli, sennò ecco che si configura il reato di corruzione.

Un sistema malato, corrotto, con episodi anche abbastanza banali, con cifre modeste, insomma niente a che vedere con Mani Pulite, ma quando la macchina pubblica funziona così poi può accadere qualsiasi cosa, sullo schema di un'associazione a delinquere, perché siamo di fronte a una macchina oliata per accontentare l'amico di turno: ora per concedere una concessione o una spiaggia agli Spinelli, ora per dare l'ok alla cementificazione del parco protetto dell'isola Palmaria.


A una settimana di distanza del terremoto giudiziario che ha decapitato la giunta regionale della Liguria di Giovanni Toti abbiamo cercato di capire sulla genesi e la filosofia dell'indagine della guardia di finanza e della procura, una disamina possibile anche grazie alle spiegazioni quasi didascaliche di chi l'indagine la conosce bene, dall'interno.

La cosa più preoccupante per la procura è appunto il sistema che prevede che Toti, o il politico di turno, come pare facessero da sempre gli amministratori di ogni colore politico, vada in barca con Aldo Spinelli o che l'imprenditore possa chiamare al cellulare un amministratore per sollecitare un provvedimento a suo favore, rapporti troppo confidenziali inopportuni che inquinano la politica e gli stessi rapporti all'interno delle istituzioni diventano confusi.

Se un giornalista vuole delle notizie va dal magistrato, non è il magistrato che va in redazione e si mette a chiacchierare con il cronista sul modo come dargliele.

Nella logica normale di una società civile corretta un imprenditore chiede un appuntamento e va negli uffici preposti per discutere la pratica e il politico non va a buttarsi o a cenare sullo yacht dell'imprenditore, comportamento che non è un reato ma crea una confusione, inquina il rapporto fra pubblico e privato che crea situazioni imprevedibili.

Il presidente Toti attraverso il suo legale ha detto che "tutti i denari", così li ha chiamati l'avvocato Stefano Savi, "sono tutti tracciati". Sarà anche vero, ma per l'accusa questo non può bastare.

I contributi elettorali, previsti dalle leggi, vanno benissimo, ma il problema è che devono essere donazioni senza secondi fini: se io faccio una donazione al Gaslini non mi aspetto che l'ospedale mi regali qualcosa in cambio. Quando invece la donazione s'incontra contestualmente nei tempi e negli interessi con un provvedimento di favore del pubblico al privato diventa corruzione. La differenza tra un finanziamento lecito e uno illecito è questa, non basta dichiararli i finanziamenti, sennò è troppo facile, elementare no?

Il finanziamento lecito va bene, il problema è quando dietro il contributo si nasconde un interesse, ed è stato questo il grosso del lavoro dei finanzieri: provare che quei contributi sono il corrispettivo di una donazione apparentemente lecita. Sarebbe facile sennò: si rifila una mazzetta tracciata ai politici e la corruzione sparisce, ma non può funzionare così. Il problema è cosa fa il politico in cambio di una donazione o contributo elettorale, se si tratta solo di entrare in confidenza con l'amministratore va bene, ma invece l'assessore poi fa un provvedimento non dovuto, non conforme alle leggi, ecco che diventa reato, corruzione per atti contrari ai doveri di quell'ufficio. Atti contrari, appunto, che vanno contro. Non solo: se si fanno atti contrari senza corruzione, possono venire annullati dal tar senza conseguenze per chi li commette, perchè tutti possono sbagliare, ma se all'errore corrisponde una donazione o un regalo ecco che diventa corruzione.

Ridicolo poi, sussurrano gli gli inquirenti più navigati, parlare di magistratura ad orologeria perché il giudice Paola Faggioni ha impiegato quattro mesi per concedere i provvedimenti, tempi invece che sono stati più che adeguati o forse corti visto che giudice si è trovata a vagliare una montagna di carte, migliaia di pagine, di un'indagine di cui non sapeva nulla. Ci sono richieste di misure che sono state accolte dopo anni, non dopo mesi. In realtà il gip Faggioni, per gli addetti ai lavori, è stata molto veloce.


L'indagine sulla Regione Liguria che ha visto la procura distrettuale chiedere e ottenere gli arresti domiciliari per il governatore Giovanni Toti, il suo capo di gabinetto Cozzani, l’imprenditore della Logistica Aldo Spinelli e l’ex presidente dell’autorità portuale e ad (sospeso) di Iren Paolo Signorini che si trova adesso in carcere, è nata grazie alla trasmissione degli atti dalla Procura della Spezia, che stava indagando sull’allora sindaco di Portovenere Matteo Cozzani.

L’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Genova, coordinata dal procuratore Nicola Piacente (e condotta dagli aggiunti Francesco Pinto e Vittorio Ranieri Miniati e dai pm Federico Manotti e Luca Monteverde) conta in tutto al momento 30 indagati ed è di fatto composta di due parti.

Da un lato ci sono, secondo l’accusa, i voti cercati nella comunità riesina e tra gli ambienti legati a Cosa Nostra e alla ‘Ndrangheta in cambio di posti di lavoro e favori per ottenere case popolari.


Dall’altro i finanziamenti illeciti ottenuti da imprenditori per ottenere lo snellimento o la risoluzione di pratiche: dalla trasformazione da libera a privata della spiaggia di Punta Dell’Olmo per agevolare l’iter di una pratica edilizia di interesse di Aldo Spinelli e Roberto Spinelli alla pratica di rinnovo per trent’anni della concessione del Terminal Rinfuse alla Terminal Rinfuse Genova controllata al 55% dalla Spinelli.), fino all’assegnazione a Spinelli degli spazi portuali ex Carbonile Itar e Carbonile Levante, o l’agevolazione nella pratica del tombamento di calata Concenter.

ECCO I TRENTA INDAGATI

Ad essere indagati nell’inchiesta genovese sono lo stesso Matteo Cozzani che a Genova è indagato per corruzione aggravata dall’aver favorito Cosa nostra. Poi c’è Giovanni Toti indagato di corruzione semplice continuata, corruzione aggravata dall’aver agevolato la mafia e falso e anche falso per la vicenda delle discariche savonesi, Aldo Spinelli, indagato per corruzione e suo figlio Roberto Spinelli (corruzione).


C’è l’ex presidente dell’autorità portuale Paolo Emilio Signorini (corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio), gli imprenditori Luigi Amico, corruzione, legale rappresentante della Amico & Co. srl operante nel settore della riparazione e manutenzione di navi commerciali e da diporto, Francesco Moncada, corruzione, consigliere di Esselunga (sospeso), Mauro Vianello (corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio e corruzione), presidente dell'Ente Bacini e della Santa Barbara; il consigliere regionale della Liguria Stefano Anzalone, Domenico Cianci, Maurizio e Arturo Testa (voto di scambio aggravato dall’avere agevolato la mafia) e il consigliere comunale di Genova Umberto Lo Grasso (favoreggiamento), Venanzio Maurici (voto di scambio aggravato dall’avere agevolato la mafia), l’attuale commissario dell’authority del porto Paolo Piacenza (omessa denuncia) la funzionaria dell’Adsp Antonella Traverso (omessa denuncia) e ancora Ivana Catarinolo, Giovanni Di Carlo, Francesco Cornicelli, Biagio Zambitto, Giuseppe Soldano, Alessandro Cartosio, Francesco e Filippo Ania, Carmelo Griffo, Giovanni Ferroni, Santo Inturri, Elisabetta Pinna (voto di scambio). Nell’elenco ci sono anche l’editore di Primocanale Maurizio Rossi (finanziamento illecito attraverso il maxi schermo di Terrazza Colombo) e Pietro Colucci (corruzione).

Nello Spezzino invece l’inchiesta sul ‘sistema Cozzani’ ha portato a 11 indagati: appunto Matteo Cozzani accusato di corruzione e turbata libertà degli incanti e suo fratello Filippo Cozzani che fa l’imprenditore e gli imprenditori Raffaele e Mirco Paletti. Ci sono poi Saverio Cecchi e Alessandro Campagna, rispettivamente presidente (autosospeso) e direttore commerciale del Salone nautico di Genova, Ivan Pitto e Giovanni Olcese, Francesco Fiorino, Massimo Gianello e Filippo Beggi. I filoni d’inchiesta riguardano una serie di affari come installazione di pannelli a led, acquisizione di ristoranti, realizzazione di stabilimenti balneari sull’isola di Palmaria fino all’aumento esponenziale dei contributi regionali al Salone nautico in cambio di una fornitura di acqua in tetrapak per Filippo Cozzani.

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