Cronaca

La testimonianza dell'ex dipendente Spea Pedna: "Nebbia diceva che i costi dei nostri progetti erano troppo elevati"
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GENOVA - "Lavorai dal 2006 al 2013 per Spea e andai via scegliendo un contratto meno remunerativo perché mi ero accorto che il focus dell'azienda era sempre più sul profitto".

Lo ha detto al Processo Morandi in qualità di teste dell'accusa Antonio Pedna, ex dipendente di Spea, azienda satellite di Autostrade per l'Italia che aveva il compito di controllare il viadotto Polcevera. "Il mio compito era valutare la modalità del cantiere per sicurezza dei lavoratori, tenendo conto che i costi della sicurezza come stabilisce la legge devono essere separati dai costi dei lavori e non possono essere ribassati".

Pedna ha aggiunto: "Visto che il mio contratto con Spea era scaduto andai via perché non trovavo interessante lavorare in quel modo".
Il pm Cotugno gli ha chiesto di spiegare meglio, Pedna ha risposto: "Negli ultimi tempi l'attività era messa in discussione, era compressa per esigenze temporali, economiche". E il magistrato allora ha sottolineato quanto Pedna disse alla polizia giudiziaria quando venne interrogato, appunto che era uscito da Spea per un lavoro meno remunerativo a causa della politica societaria, perché il focus di Spea era troppo incentrato sul profitto, andando prima in una società di consulenza e poi nel 2014 all'estero".


La sua testimonianza, nelle intenzioni dei i pm dell'accusa Terrile, Cotugno e Airoldi, c'è la conferma che le politiche di Autostrade per l'Italia e di Spea erano incentrate sui dividendi da fare spartire ai soci anche a discapito della sicurezza della rete stradale, arrivando così, come è scritto nella memoria dei magistrati, alla sottovalutazione del degrado e il mancato intervento di messa in sicurezza delle pile 10 e 9, la causa del disastro dell'agosto 2018 costato la vita a 43 innocenti.

In aula, per il contro interrogatorio, oggi è tornato uno dei testi più lucidi, Alessandro Paravicini, amministratore unico della Tecno El, ditta specializzata in monitoraggi che si occupò di installare i sensori sul viadotto.

A maggio aveva detto che i sensori che monitoravano il Morandi segnalarono in modo chiaro il progressivo cedimento della carreggiata del ponte due anni prima della tragedia, sino al luglio 2016 quando il monitoraggio cessò perché i cavi del sistema di verifica furono tranciati da lavori, ma nessuno se ne accorse.

La ditta di Paravicini nel 2015 aveva più volte e inutilmente richiesto di rinnovare l'appalto per proseguire con i controlli, ma da Autostrade aveva risposto picche.

In aula si è riparlato dell'interrogatorio del superteste dei Pm Francesco Pisani, ex allievo di Morandi, consulente di Aspi per l’intervento di rinforzo strutturale delle pile 9 e 10 mai effettuato.
La sua testimonianza per i pm è molto importante ma Pisani, che vive a Roma, per motivi di salute non può raggiungere Genova.

Si sta così valutando di trasferire il processo in blocco nella capitale per tre giorni dal 17 luglio. La decisione è appesa a una perizia medica, il teste, pur lucido, però non sarebbe in grado di parlare più di un'ora e mezzo al giorno. Così tre giorni potrebbero non essere sufficienti per completare l'esame.

Per ultima una curiosità: ad un certo punto nell'aula è spuntata una pattuglia di agenti penitenziari in divisa, quasi un'irruzione, e nella tensostruttura è calato il gelo. Ma è durato un attimo: i poliziotti non erano lì per un servizio ma solo per una visita di istruzione, si trattava infatti di giovanissimi agenti che hanno appena terminato la scuola di formazione nella scuola di Verbania.