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Quando per lavoro dovetti trasferirmi a Genova, quasi trent’anni fa, scelsi i vicoli perché me n’ero innamorato ai tempi dell’università, quando a volte mi fermavo a dormire in una casa di via San Donato, quella dove sull’architrave sopra il portone c’è scritto "Pervia Caeli",  a un piano altissimo senza ascensore, affacciata su quello che allora era un cratere lunare artificiale lasciato dalle bombe angloamericane e oggi è diventato i Giardini Luzzati. Fu una scelta agevolata dalla vicinanza al posto di lavoro, andavo e tornavo a piedi, mi spiacque solo dover vendere la macchina, ci ero affezionato come a una persona ma non potevo permettermi anche le spese di un garage visto che dove abito io è un po’ come Venezia e la mia vicina di pianerottolo parcheggia la sua auto, se le va bene, in corso Podestà. Però appunto ci abito, ci ho preso la residenza, non è che ci vengo una-due sere la settimana a sgavazzare, non lo facevo nemmeno quando per età non sarei stato patetico, anzi torno a casa che non vedo l’ora di buttarmi a letto e così quando mi chiedono dove si possa andare a bere rispondo boh. 

Non per fare l'antiquato, che in teoria ahimè ormai ci può stare anche se poi oggi si dice boomer, ma non è che mi piaccia molto che i vicoli vengano considerati dalla (rara) gioventù genovese solo per qualche ora, solo per qualche giorno o meglio notte della settimana. Il concetto di “movida”, a parte la parola orribile, è infatti una specie di dispregio territoriale: perché non si fa un po’ di baracca anche a Castelletto, a San Teodoro, a San Fruttuoso, al Porto Antico che è bello grande, in corso Italia che di notte è suggestivo forse ancor più che di giorno?

E allora, a quelli che prendono la parte più antica e bella della città come uno sballodromo senza regole o quasi, dico solo: vi piacciono i vicoli? Allora veniteci a vivere, guadagnàteveli, imparate ad amarli davvero. Comprateci casa, a cercar bene si trova bene, o fatevela comprare dai genitori, oppure ancora provate a viverci in affitto per un po'. Così magari da una parte capireste come sono belli non solo alla luce artificiale, quei vicoli dove venite soprattutto a stordirvi, perché se uno deve benzinarsi può farlo senza piovere qui dove ci sono ancora caffè e cremerie e botteghe e drogherie e negozi da restare a bocca aperta, insomma non è un outlet notturno con le case finte dove non abita nessuno, le case sono vere e dentro c’è gente vera, che alla notte cerca di raschiare un po’ di quiete all’insonnia. E quindi non è che si esalti se alle tre sfilano sotto le finestre latrando per esempio quella canzonaccia, tra l'altro desolante, che si riserva ai neolaureati focalizzandosi sulla conclusione dell'apparato digerente. Provate a viverli sul serio, ve ne innamorereste come era capitato a me.

Si dice che la movida sia l'antidoto al degrado, ma da qualche tempo - lo dico da residente, che la mattina dopo rinviene le vestigia dei bagordi malgrado l'ammirevole lavoro dei netturbini notturni - qualcosa sembra deporre in senso contrario: di certo è antipatica l’idea di una parte di città condannata a vivere fisarmonica, dal giovedì al sabato il luna park notturno di gente che arriva dal resto della città, da quartieri dove non ci si azzarderebbe a lasciare la rumenta dove capita e a cantare a squarciagola o comunque a schiamazzare quasi all'alba. Io non me ne vado di qui, non posso permettermelo e ormai mi ci sento di casa, però mi fastidia che molti concittadini, giovani oppure che credono di esserlo ancora, trattino il mio quartiere come la ragazza del primo banco "la più carina la più cretina" della canzone di Venditti: una da frequentare quando la fidanzata in casa, che piace più ai tuoi genitori che a te, è altrove. Qui, mi ripeto, è una Venezia col mare solo davanti e non dentro: nel bene, perché vi si respira storia e vestigia di una maestà remota e le automobili e il loro rumore in pratica non esistono; nel male, perché come la Serenissima sta diventando un parco a tema, gente che viene solo per dire di esserci stata senza capirne nulla. Ma d’altra parte è pur vero che a volte qualcuno di fuori mi chiede dove sia la casa dell’artista, del cantore degli ultimi, e allora mi tocca fargliela vedere con la mappa del telefono, e quando l’ha vista mi chiede se sia uno scherzo. È un equivoco vecchio, la città vecchia.