GENOVA - La quiete dopo la tempesta, anche se sotto il cielo della Liguria la perturbazione ancora resiste. Ma dopo la pioggia, esce sempre il sole, spesso accompagnato da un bell'arcobaleno (portafortuna). E di fortuna, in questo momento, la nostra regione ne avrebbe molto bisogno, anche se ogni tanto ce la si deve conquistare, con le unghie e con i denti. Dopo il terremoto giudiziario che ha travolto Regione Liguria, con l'arresto del presidente Giovanni Toti, finito ai domiciliari per corruzione e voto di scambio, la sensazione è che un'intera comunità sia stata colpita, politicamente e umanamente. "L'importante è che se ne parli" diceva con famoso aforisma Oscar Wilde, nonostante a rischio si metta la propria reputazione. E allora, in questi oramai dieci giorni post 7 maggio (quando sono scattati gli arresti di Toti, Cozzani, Spinelli e Signorini), la Liguria è sotto i riflettori, non solo liguri. Proprio nelle scorse ore il sindaco di Genova Marco Bucci ha lanciato un monito, rivolto a tutti, dalla politica alla cittadinanza: "Noi vogliamo ritornare all'immagine che abbiamo mostrato in questi anni, in crescita perenne, la città ha ripreso la sua importanza anche a livello internazionale e non possiamo permetterci che provvedimenti di questo tipo distruggano, o meglio rallentino, il nostro percorso". Insomma, chi vuol capire capisca.
Ma facciamo un passo indietro: quella che si è mostrata martedì scorso in consiglio regionale, il primo dopo l'arresto del presidente Toti, è stata una maggioranza compatta. Dagli scranni degli assessori ai banchi dei consiglieri di centrodestra. Così nell'aula intitolata a Sandro Pertini si è consumato il primo round di una partita che, giurano le opposizioni, non si fermerà all'atteggiamento granitico ostentato in via Fieschi. La squadra del presidente (sospeso) Giovanni Toti ha fatto quadrato intorno al governatore e per confermarlo, non solo a parole ma anche a fatti, immagini, ha lasciato vuota la poltrona del giornalista. La minoranza, d'altro canto, ha promesso battaglia in aula, con un atteggiamento ostruzionista, che porti alle dimissioni dell'intera giunta. Insomma, ognuno fa il proprio "gioco". Passo indietro che non è stato contemplato, almeno fino a oggi, da nessun esponente della maggioranza, anche se la preoccupazione, tra i corridoi del consiglio regionale e della Regione, è sempre più tangibile. Tutti, almeno una volta nella vita, abbiamo sentito parlare del "The show must go on" (lo spettacolo deve continuare), perché non è solo una celebre canzone dei Queen ma uno stile di vita. Almeno finché è possibile. E allora il centrodestra non arretra di un centimetro, difende il suo presidente, senza mai una sbavatura, anche di fronte agli interventi dei consiglieri di centrosinistra, che invocano a gran voce le dimissioni, per etica e opportunità politica.
Al momento, sono due le partite giocata: la prima si svolge sul campo di Genova, la seconda su quello di Roma. E se nel capoluogo ligure si procede su un unico binario, nella capitale la sceneggiatura sembra essere più variabile. "Siamo tutti garantisti" ripetono in loop i partiti di maggioranza, dalla Lega a Forza Italia, passando per Fratelli d'Italia e Noi Moderati, ma da essere garantisti a rischiare il tracollo, ne scorre di acqua sotto i ponti. E lo sa bene la premier Giorgia Meloni, che nelle scorse ore ha voluto rimarcare la propria stima nell'operato di Giovanni Toti, "ha lavorato bene, aspettiamo le sue risposte", ma che con i suoi più stretti collaboratori sta già pensando al dopo. E il dopo ha un solo nome: voto anticipato. Ovvero quelle Regionali che sembravano fissate nella primavera 2026 ma che sembrano invece palesarsi sotto quel ticchettio della pioggia autunnale. L'ipotesi, sempre più accreditata, è quella di un'election day tra ottobre e novembre insieme all'Umbria e (probabilmente) all'Emilia Romagna, qualora Bonaccini venisse eletto in Europa.
E così, a palazzo Chigi, sulla scrivania della leader di FdI, iniziano a circolare volti e professioni. E se in una prima fase si è provato a virare su un esponente del partito maggioritario, erano circolati i nomi di Simona Ferro (attuale assessore regionale) e Massimo Nicolò (ex vicesindaco di Genova), a oggi il mirino si è spostato su un tecnico. Giorgia Meloni, da donna (o forse preferisce uomo) politica navigata lo sa, è arrivato il momento di scavallare il profilo politico, e affidarsi a un professionista, vergine rispetto alle storture dei partiti. Il nome che risuona forte, e da Roma è volato a Genova, è quello del rettore dell'Università genovese Federico Delfino. Ingegnere, già delegato per il ponente ligure e già direttore del campus universitario di Savona, è stato eletto per il mandato 2020-2026. Si tratterebbe di una figura terza, al di sopra di ogni sospetto, più vicino alle idee di centrodestra, e che potrebbe "ripulire" l'immagine di una politica che è sempre più lontana dai cittadini. Perché, dove non arriva la politica, arriva il "professore", chiamato a far ripartire una macchina che negli anni si è inceppata, per non dire schiantata. Ma dalla Lega sembra essere sempre più succulenta l'ipotesi di schierare un big d'Europa, il deputato uscente di Bruxelles Marco Campomenosi. Un tecnico prestato alla politica, "pacato" e capace di unire diverse anime. Unico "difetto", nella buriana in corso, è la tessera di partito. E non solo per la percentuale attribuita al momento alla Lega, molto inferiore a FdI, ma proprio per il suo essere politico. Ma la soluzione di tutti i mali può essere un tecnico? Non ci può essere nulla di autonomo, senza l'appoggio e la presenza dei partiti. E il centrosinistra ligure e genovese docet, con le ultime scelte, la Regione prima e le Comunali dopo. Gli elettori non hanno apprezzato, considerando le sonore sconfitte.
IL COMMENTO
Regionali, alla Liguria servono politici che sappiano domandare scusa
Il nuovo Galliera non si tocca. Sarebbe un disastro per la sanità