
Ci ha lasciato uno dei miti del cinema. Ma un mito speciale, diverso da tutti gli altri. Perché Brigitte Bardot in realtà è uscita di scena molto prima che il sipario, oggi, si chiudesse definitivamente. La sua è stata una sparizione lenta, deliberata, quasi ostinata, che ha trasformato l’icona in un’assenza e l’assenza in una dichiarazione di intenti. In una realtà come quella del Novecento dove le attrici si consumavano sotto luci sempre più forti Bardot ha compiuto un gesto allora impensabile: ha deciso di smettere di essere vista.
È morta Brigitte Bardot, aveva 91 anni
Torniamo a quando era ovunque
Per comprenderlo bisogna tornare a quando era ovunque. Negli anni Cinquanta e Sessanta Bardot non rappresentava soltanto una bellezza, incarnava una nuova grammatica del desiderio, i capelli biondi sciolti e nello sguardo una perenne combinazione di innocenza e sfida. In Et Dieu… créa la femme di Roger Vadim (1956) che la scolpì nell’immaginario di una intera generazione non recitava un personaggio ma una possibilità: che una donna potesse essere desiderabile senza chiedere il permesso, e colpevole senza pentirsi.
La Bardot-icona nacque così, in un cortocircuito tra cinema, fotografia e tabloid (allora fece scalpore la liaison che per un certo tempo la legò al playboy genovese d'adozione Gigi Rizzi). Fu una costruzione collettiva, ma non neutrale: il mondo maschile la voleva simbolo, quello femminile la osservava con ambivalenza, tra liberazione e condanna. Bardot, nel frattempo, sembrava abitare il proprio mito con una distrazione quasi infantile, come se l’icona fosse un vestito preso in prestito, da restituire prima possibile. La sua morte simbolica cominciò quando smise di collaborare alla propria mitologia. A differenza di altre dive che hanno cercato di governare il tempo - chirurgia, reinvenzioni, ritorni calcolati - lei scelse la sottrazione. A quarant’anni lasciò il cinema. Fu un atto che il pubblico interpretò come un capriccio, ma che col tempo si è rivelato un gesto politico: rifiutare l’obbligo di restare desiderabile come forma di lavoro.
Bardot non volle trasformarsi in monumento vivente
In questo ritiro c’era qualcosa di profondamente anti-spettacolare, quasi ascetico. Bardot non volle trasformarsi in monumento vivente, né in una reliquia nostalgica. Preferì diventare altro: una presenza scomoda, spesso irritante, che parlava di animali con una passione assoluta e di esseri umani con crescente disillusione. C’è stato qualcosa di paradossalmente moderno in questa scelta. In un’epoca di esposizione permanente, Bardot ha scelto l’opacità. Ha lasciato che il mito si nutrisse di silenzio, che la nostalgia facesse il lavoro della memoria. La sua assenza ha funzionato come una lente: ha reso più nitido ciò che era stato e più evidente ciò che non poteva più essere. Ha smesso di essere un corpo disponibile allo sguardo e si è trasformata in un’idea finita, intoccabile. Come certi personaggi letterari che muoiono giovani per restare perfetti, Bardot ha abbandonato la scena per non dover spiegare il proprio tempo che passava. Questo è stato il suo ultimo gesto radicale: aver capito che, per alcune icone, l’unica forma di sopravvivenza è la sparizione.
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