Commenti

2 minuti e 44 secondi di lettura

Il giorno dopo ti guardi incontro e scruti tutti quelli che incontri: "no, era più magro, no era più alto, no, era vestito di scuro". Il cuore ti va in gola se ti trovi in un sottopasso da sola con uno o due ragazzi, acceleri il passo e se sei sola alla fermata della metro ti avvicini ad altre persone, tenendoti alla larga da quel signore. Il giorno dopo sei più guardinga del solito, perché già normalmente sei attenta a quello che ti circonda quando vai in giro da sola. Il giorno dopo ti dici che hai sbagliato, che non dovevi camminare da sola in quel vicolo, anche se era pomeriggio, che avresti dovuto rifugiarti in un bar o in un negozio, che avresti dovuto chiedere aiuto o chiamare la polizia, che forse ero truccata e sarebbe stato meglio che non avessi messo il rossetto rosso. 

Erano le 18:30 di un pomeriggio di fine febbraio, avevo voglia di gelato. Vado in un noto locale in Centro Storico, entra un ragazzo per chiedere un caffé. Nell'uscire dalla gelateria ho provato una sorta di presentimento, una sensazione negativa. Esce poco dopo e mi si avvicina. Ho il cellulare e il portafoglio in mano, penso subito che voglia derubarmi. Allungo il passo, ma lo sento sempre più vicino. Non lo guardo mai in faccia. "Ciao bellissima, mi sento molto solo e tu saresti la donna perfetta per me". Cerco di restare calma, mi tornano in mente tutti quei racconti su TikTok di ragazze a cui è successo lo stesso, ma quando capita a te è l'istinto che prende il controllo. Devo tornare al lavoro, devo arrivare a destinazione, devo raggiungere un posto un po' più affollato, devo stare calma e non dargli nessun motivo per attaccarmi. Avrà un coltello? Rispondo ad alta voce: "Non credo proprio e poi io devo tornare al lavoro, puoi non seguirmi per favore?". Alzo la voce e accelero ancora il passo, ma mi marca stretto. "Dai, stai tranquilla, fermati che non succede niente". Qualche passante osserva la scena, una signora mi chiede se ho bisogno di aiuto, lui non mi sembra per niente intimorito. Non posso rallentare, mi sta troppo vicino e voglio soltanto chiudere il portone, uscire da questa situazione assurda. "Sto andando al lavoro, spero la capisca e smetta di seguirmi". Attraverso col rosso, ci sono quasi. Lui dietro, sta arrivando una macchina. Ironia della sorte, penso "se lo investono, potrei anche sentirmi in colpa". "Ti accompagno fin dove lavori, così poi ti aspetto quando esci e andiamo a bere una cosa". "Ti ho detto di no, lasciami stare". Basta, lasciami stare, ho detto no. 

Sono arrivata. Gli chiudo il portone in faccia. Respiro di nuovo. L'adrenalina cala e inizia la paura. Cosa sarebbe successo se fossi stata più lontana da dove lavoro? Ora sa dove sono, potrebbe tornare a importunarmi? Perché lo ha fatto? E la vera violenza è capire che probabilmente per lui è stato un modo come un altro per divertirsi e passare il tempo, di nutrirsi della mia ansia, di godere del potere che gli ho dato lasciandomi spaventare. Chiusa la porta, lui probabilmente ha già dimenticato quei 6-7 minuti che a me sono sembrati interminabili. E a me resta la paura, quel senso di impotenza e la consapevolezza che a me è andata bene, questa volta.