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Dopo il 1984, quando arrivava a Genova da deputato Psi e portavoce di Craxi diceva sempre e anche un un po’ duramente: “Mi sembra di essere arrivato a Lipsia”. Il muro di Berlino doveva ancora cadere e quel giovane e molto intelligente leader nascente, vicinissimo a Craxi, alludeva, con il riferimento alla città tedesca dell’Est, al governo socialcomunista di Genova, dove governava la giunta Cerofolini, tra l’altro un bel socialista, lombardiano, all’opposizione di Craxi.

Eccolo Ugo Intini, che se ne andato a Milano a 82 anni, dopo una lunga malattia, quasi un genovese d’adozione per avere diretto “Il Lavoro”, alla fine degli anni Settanta, per essere stato eletto qua come capolista, per avere avuto con Genova un rapporto quasi viscerale, nel nome di Craxi, che allora era come un semidio nella città di Garibaldi e dove il Psi nacque e dove allora rullavano personaggi come Rinaldo Magnani, Delio Meoli, Francesco Fossa, Fabrizio Moro, tutti diventati craxiani di ferro. E dove predicava craxismo un prete come don Baget Bozzo, ex speaker del cardinale Siri.

Che tempi! Intini, alto, pallido, intelligente, tagliente, dettava la linea e sparava a zero sull’immobilismo di quella Genova dove le Partecipazioni Statali crollavano come birilli, il porto era paralizzato tra scioperi e cortei dei camalli di Paride Batini, in attesa che arrivasse l’uomo di Craxi come presidente ,Roberto D’Alessandro, investito dalla mano santa craxiana a succedere a un altro socialista, il professore di filosofia Giuseppe Dagnino. Intini, milanese doc, che aveva diretto anche l’ ”Avanti” nella sua triangolazione Genova-Milano-Roma, era l’autentico interprete di Craxi e della sua politica ancora vincente.

Nessuno oltre a Claudio Martelli era così vicino a lui in quei tempi di grande potere e di governo. Per Genova quel signore deciso, capace comunicatore, ma con un fondo di cultura e di studio profondi, è stato una figura determinante in una lunga e delicata fase di passaggio, politica ed economica. Molto più importante di tanti genovesi doc e ancora più decisivo del tempo successivo, quando avrebbe ricoperto il ruolo di sottosegretario nei governi a cavallo del 2000 con l’incarico delicato agli Esteri. Quando Craxi era già andato a morire in esilio. La sua figura tormentata e spesso polemica torreggiava nella città in trasformazione ed era un po’ come un ponte tra il passato e il futuro. D’altra parte era uno degli esponenti di quel gruppo, quella “squadra”, che Craxi aveva messo insieme riunendo personalità diverse e importanti nella politica, nell’economia, nella cultura, una di quelle situazioni uniche nella storia politica.

Era un galantuomo e al di là dell’asprezza nei toni politici dialogare con lui era un piacere e un privilegio. Era un giornalista, direttore con quel passato breve e intenso nel “Lavoro” al tramonto della sue era socialista e, quindi, aveva con i colleghi una capacità forte di sintonizzarsi. Anche dopo la caduta di Craxi non aveva assunto i toni revanchisti di tanti socialisti, ma aveva preferito un ruolo dignitoso, di silenzio che lo aveva portato, appunto, agli incarichi di governo e a tanto studio. Un suo bellissimo libro di qualche anno fa racconta il “secolo breve” con il ritratto di 48 personaggi visti e vissuti da lui vicino. Amici e nemici. Imperdibile.

Se ne è andato nel riserbo di una malattia che aveva confidato solo a una cerchi ristretta di amici. Tanti anni e tante polemiche dopo possiamo ricordare che è stato un uomo, un politico, un socialista riformista, che ha contribuito alla modernizzazione di questa città, nella quale tornava sempre con un velo di nostalgia. Per quel che era stato e anche per quello che non era stato.