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di Antonio Gozzi*

Dinanzi a un pubblico incredibilmente numeroso per un appuntamento del genere, più di mille persone che hanno invaso tutti gli spazi disponibili del piano nobile di Palazzo Ducale, si è tenuto nei giorni scorsi a Genova il convegno storico dal titolo ‘L’impero di Genova. Dal Mar Nero all’Atlantico, la grande espansione del Medioevo’ organizzato da Marco Ansaldo e dalla rivista di geo-politica Limes.

Molti i contributi scientifici di relatori nazionali e internazionali. Impressionanti le conclusioni di Alessandro Barbero che, pur non essendo un esperto di storia genovese del Medioevo, ha saputo fare una sintesi straordinaria della due giorni di lavoro, tracciando un affresco efficace e vivido del significato “dell’Impero di Genova”.

“Quello di Genova fu un impero in due sensi. C’erano i possedimenti coloniali in cui i genovesi imponevano un dominio politico ed economico, con funzionari genovesi, immigrazione genovese verso quei luoghi, con fortificazioni e imposizioni di leggi genovesi. E poi c’erano le rotte, un impero ‘liquido’ costruito dal fitto intrecciarsi di percorsi sull’acqua del Mediterraneo con la spinta dei genovesi ad andare in luoghi in cui si fermavano senza dominio soltanto a livello commerciale, radicando un sistema mercantile, senza alcuna infiltrazione politica e culturale”.

Il modello genovese – ci dice Barbero – è unico. “Un sistema pubblico-privato che differenzia radicalmente Genova da Venezia dove prevale l’aspetto pubblico. A Genova tutti possono trafficare, a Venezia è tutto molto regolamentato. L’iniziativa privata ha avuto un ruolo cruciale nella costruzione dell’impero di Genova nel Medioevo. Le flotte erano costruite e gestite dagli armatori privati, le maone erano compagnie commerciali private (antesignane delle trading company dei giorni nostri), persino azioni militari di conquista furono gestite da privati: i Doria con la creazione della signoria sulla Corsica e la Sardegna, flotte di armatori privati che conquistarono Chio”.

Se si guardano le aree toccate dalle rotte marittime genovesi e interessate all’espansione delle loro “colonie” (sostanzialmente limitate a fortificazioni intorno ai porti, agli attracchi e ai fondaci e poco più) si vede che esse riguardano tutte le coste del Nord Africa, dall’Egitto al Marocco e l’area balcanica e del Mar Nero: Tabarca in Tunisia, Alessandria in Egitto, Tripoli e Beirut in Libano, Limassol a Cipro, Chio e Taso in Grecia, Galata, Pera, Trebisonda, Caffa, Simissa e tante altre ancora in Turchia, Crimea sul Mar Nero.

Da questa considerazione sulle rotte marittime e sulla localizzazione dei porti e dei fondaci genovesi e sulle modalità, sopra viste, dell’espansione del cosiddetto impero di Genova, ma anche sulla corrispondente espansione mercantile di Venezia più o meno nelle stesse aree toccate dai genovesi, nascono le riflessioni che voglio consegnare a questo articolo.

In particolare la domanda è: ragionare su questa straordinaria vicenda che si è sviluppata dal 1250 al 1400 può servire alla riflessione sull’oggi e in particolare a quella relativa all’importanza crescente del Mediterraneo e al ruolo che l’Italia e le sue città di mare (prima fra tutte Genova) possono giocare in quest’area? 

La mia risposta è: certamente sì. E ciò per almeno due ragioni.

La prima è che la vicenda di espansione genovese nel medioevo riporta, come detto, la nostra attenzione su Nord Africa, Balcani e Mar Nero, aree sempre più critiche per la sicurezza strategica ed economica del nostro Paese, aree che vedono oggi apparire nuovi e ingombranti protagonisti, primi fra tutti la Turchia e la Russia.

La storia, a partire da quella dell’espansione genovese e veneziana del medioevo, ci insegna che l’Italia non può non occuparsi di quei contesti, che farlo rientra nella nostra vocazione, e che non farlo significa rinunciare ad un ruolo che solo noi possiamo svolgere nella tutela dei nostri interessi strategici nazionali e nell’interesse della cooperazione per lo sviluppo di quei contesti. Ho scritto altre volte che poiché il tema del Mediterraneo e in generale del mare si imporrà sempre di più nei prossimi anni, l’Italia può giocare una partita fondamentale non solo per la sua collocazione geografica ma anche per la sua vicinanza culturale e per l’empatia storica con le popolazioni della costa nord dell’Africa e dell’Est europeo.

L’Italia può e deve diventare il ‘traduttore’ dei valori dell’Occidente per quei Paesi che sono alla ricerca di benessere e di riscatto economico ma anche di una via verso il progresso civile e democratico. Il nostro saldo ancoraggio atlantico e la contemporanea capacità di dialogo che ci contraddistingue ci consente di svolgere questo ruolo molto meglio di altri Paesi europei il cui passato coloniale è di gran lunga più ingombrante del nostro.

La seconda ragione di interesse sta nelle modalità con le quali l’espansione genovese, insieme a quella veneziana, si è manifestata nel tempo.

Modalità ultra moderne se si riflette sull’insieme di strumenti e di organizzazioni volte al sostegno della funzione mercantile. Molto privatistiche quelle genovesi, più statuali e pubbliche quelle veneziane, così diverse nel modello l’una dall’altra eppure entrambe di successo, come ha sottolineato Barbero nelle sue conclusioni. 

Sofisticati contratti commerciali e di finanziamento, spettro larghissimo delle merci trattate, nascita di un armamento moderno e delle navi date a noleggio, capacità di dialogo multiculturale e multietnico testimoniano come i mercanti genovesi e veneziani abbiano saputo interagire e fare business in un’area che anche oggi torna al centro della scena.

Il baricentro europeo, per moltissimo tempo basato sull’asse franco-tedesco, nei prossimi anni si sposterà a sud e ciò per una molteplicità di ragioni demografiche, economiche, geostrategiche. È nello sviluppo della cooperazione mediterranea a sud e a est che la stanca Europa può ritrovare occasioni di sviluppo e di crescita e quell’energia vitale che oggi le manca per reggere la competizione internazionale con le altre grandi aree economiche del mondo.

Porti, piattaforme logistiche, cantieri navali, investimenti in energia rinnovabile e idrogeno, investimenti in infrastrutture sottomarine (si pensi al cavo elettrico di prossima costruzione che collegherà l’Italia alla Tunisia), sfruttamento delle gigantesche disponibilità di gas presenti nel bacino del Mediterraneo e che saranno, con un uso opportunamente decarbonizzato (carbon capture) l’energia della transizione, accordi per la formazione di mano d’opera giovane e qualificata che può venire in Europa attraverso flussi migratori gestiti e regolati, tutto ciò rappresenterà il campo di prova di un cambiamento anche culturale che l’Italia cerca di declinare con il piano Mattei.

Oggi la crisi degli stretti con gli attacchi degli Houthi alle navi occidentali (ma non a quelle russe e cinesi, che così fanno concorrenza sleale allo shipping occidentale) è un problema che può ridestare strozzature dell’offerta e nuovi impulsi inflattivi. Il 40% delle importazioni europee, spesso destinate all’industria europea, passa di lì.

Ma la stessa crisi può rappresentare anche una formidabile occasione di reshoring mediterraneo. Se importare prodotti e componenti dall’Asia diventa sempre più rischioso e costoso, perché non sostituire almeno in parte quelle produzioni e importazioni con altre localizzate nel bacino del Mediterraneo? In Tunisia, Algeria, Libia, Egitto, Grecia, Albania, Spagna e Italia. Questo sì sarebbe un vero sforzo dell’Europa per la crescita di quei Paesi. E l’Italia, per la sua collocazione geografica e per la sua vocazione storica e culturale a cooperare con quei mondi dovrebbe essere alla testa di questo cambiamento di paradigma.

I mercanti genovesi e veneziani ci hanno insegnato con le loro rotte e i loro traffici che il commercio e lo scambio sono al centro della cooperazione internazionale. Ci hanno anche insegnato però, con la forza di combattimento delle loro flotte, che il commercio e le rotte del libero scambio vanno difesi continuamente da chi li attacca e vuole un mondo di barbarie.

Lo sviluppo della cooperazione con il sud e l’est del Mediterraneo passa anche dalla costruzione di un’area di sicurezza che garantisca i commerci, gli scambi e il dialogo tra popoli e nazioni.

La deterrenza della forza purtroppo fa parte degli strumenti di gestione di un mondo sempre più turbolento e caotico. Mercanti e soldati sono condannati a coesistere e la Marina Militare Italiana, sopra e sotto il mare, avrà nei prossimi anni un ruolo sempre più importante per la sicurezza strategica di quest’area.

Qualche anno fa presso la Facoltà di Economia dell’Università di Genova la titolare dell’insegnamento di Storia Economica di allora, la carissima amica professoressa Paola Massa organizzò un convegno sulla figura di Benedetto Zaccaria e sugli studi condotti su questo personaggio dal grande storico Roberto Sabatino Lopez. Zaccaria rappresenta emblematicamente le due facce del problema. Un personaggio poliedrico, uno degli ammiragli più abili del Medioevo (vero vincitore della battaglia della Meloria) ma anche un grande mercante, precursore di varie forme di tecnica commerciale che sperimentò nel commercio di materie prime come l’allume e il mastice.

Mercanti e soldati.

Antonio Gozzi

Per gentile concessione Piazza Levante