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Se Domenico Arnuzzo, una vita in blucerchiato, dice che questo è il campionato più brutto della storia della Sampdoria, c'è da credergli. Era cominciato dopo una fortunosa salvezza, arrivata alla fine di un torneo che aveva visto indebolire la squadra sul mercato, esonerare l'allenatore, finire in carcere il presidente. Tanto per non farsi mancare niente. Due errori del terzo portiere finlandese del Venezia, più dieresi nel cognome che abilità nel gioco con i piedi, e una parata di quello del Doria avevano cambiato nel finale un destino che sembrava più che scritto. Ma il Doria era arrivato al traguardo come la Cisitalia di Nuvolari al passaggio per Bologna, nella Mille Miglia del Quarantasette: aperta come un delfino arpionato, poche lamiere, il volante, le gomme. Infatti già allora, quando il torneo volgeva al termine, tra la piccola borghesia di chi si era già messo in salvo, per bieco calcolo e non per affetto si tifava Sampdoria, rispetto a Genoa e Cagliari, perché le due rossoblù, scampando il pericolo, avendo una società alle spalle si sarebbero sicuramente riattrezzate, mentre il Doria - come mefiticamente ha infatti dovuto fare - avrebbe continuato a vendere e addirittura, come a gennaio con Colley, Falcone e Sabiri, a svendere. Finendo per assomigliare a quella famiglia zoliana che, a corto di soldi per il carbone da stufa, suppliva al freddo radunando i mobili meno necessari al centro della casa, dandovi alfine fuoco. Inevitabile così per la Sampdoria finire dove si trova: in fondo alla classifica, tuttora molto distante dalla zona salvezza malgrado la vittoria sul Verona, e con una situazione societaria drammatica.

Eppure quest'atmosfera primi anni Settanta, col rispolverato "resteremo in serie A" che era il coro stabile di allora, promette qualcosa; la festa finale dopo la vittoria di domenica scorsa, un risultato al momento poco più che pleonastico, sa di buono. Le presenze allo stadio non sono da tempo numerosissime, distanti dai riscontri di tempi anche non troppo felici, ma bisogna fare i conti con la percentuale flottante, che c'è da tutte le parti, e con la situazione che non ha termini di paragone: nove anni di Viperetta avrebbero assottigliato se non desertificato molte altre piazze. Malgrado la situazione, sotto altri aspetti la tifoseria sampdoriana manifesta però segnali di ripresa. In rilancio infatti è la vita dei club, anche grazie alla ritrovata sintonia tra i circoli e i vertici della società, dove adesso c'è un Marco Lanna che per esempio prende e parte e va, come la settimana scorsa, alla festa del club di Borghetto Vara, perché la sua missione è (anche) ricucire con la piazza. Di più: da parecchi anni non si registrava una nascita di nuovi club, come invece sta accadendo adesso. Per reazione, per scatto di orgoglio, per la scoperta di quanto sia importante quel che forse si era dato per scontato. Chissà.

Crescere nelle difficoltà: nulla di nuovo sotto la bandiera dai quattro colori. La tifoseria della Sampdoria aveva sottoscritto ottomila abbonamenti al buio, in quella gelida estate del 2001, quando neppure era certa non tanto la partecipazione alla serie B, per il terzo anno di fila dopo la lugubre mazzata inferta da Trentalange, quanto la stessa iscrizione al campionato. Fu quello un momento altrettanto difficile del presente, forse ancor più; e anche allora la gente blucerchiata rispose. Ottomila corrisponde non a caso alla capienza della Sud.

Si sarebbe certo volentieri fatto a meno della controprova di questo logorante campionato, che ha visto sia una partecipazione di massa a tutte le trasferte, comprese le più lontane, sia un fervore a Marassi del tutto svincolato dai risultati quasi sempre mortificanti: torti arbitrali, reti avversarie nel recupero, infortuni e cessioni e soprattutto riapparizioni provocatorie del fantasma del palcoscenico. E parliamo di un campionato in cui la Sampdoria, per la prima volta da sempre, è sempre stata in zona retrocessione. Eppure i tifosi resistono, anzi il loro attaccamento cresce. Insomma, chiunque arrivi a rilevare il club, se arriverà, può contare fin d'ora su una base indefettibile. E' la sola consolazione di un tempo gramo, ma è fondamentale per ricominciare, da qualunque parte si ricominci.

Crescere nelle difficoltà. Non è una sorpresa per chi conosca la storia. Una storia che viene troppo spesso banalizzata dall'esterno, secondo lo stereotipo disneyano di Gastone e Paperino, o quello omerico di Achille ed Ettore, fino a farla coincidere con quella specie di presunto "imborghesimento" relativo ai tempi d'oro, che poi furono un decennio appena (1985-1994, sette finali vinte ma anche sette perse, e di quelle perse che finali almeno due!, per dire che anche allora si soffriva, su altri livelli ma si soffriva lo stesso) su quasi ottant'anni ormai di storia. La tifoseria della Sampdoria c'era, numerosa, anche prima di Mantovani e sta dimostrando di sopravvivere bene all'attuale vischiosa glaciazione, in uno scenario che certo ha disamorato qualcuno, ma sarebbe stato implausibile che proprio nessuno si allontanasse, visto che da molti anni sembra essere stato proprio questo l'obiettivo perseguito dall'alto: ridimensionare, soffocare ogni ambizione diversa da quella di esistere, magari perfezionare l'operazione della rana bollita a fuoco lento. Non è stata tutta rose e fiori la strada blucerchiata, proprio no, anche la Sampdoria si è fatta i suoi bravi campionati di B, undici in quattro tornate, quindi quasi uno su sette (nella foto, Cristin e Salvi, eroi anni Sessanta-Settanta). Non per questo si è dissolta né la sua gente si è smarrita. Anzi, fu proprio nei primi anni Settanta che nella curvetta della Sud comparve un piccolo striscione: "Prima o poi / lo scudetto anche per noi". Sembrava follia. Ma un sogno di uno è un sogno, un sogno sognato da molta gente a volte diventa realtà.

Qualcuno dice che la squadra di calcio è un destino, altri parlano di scelta. Infinite sono le spiegazioni di parte, fatto sta che i sampdoriani hanno dimostrato, mai come quest'anno, di non essere l'eco ormai lontana della "Bella stagione". Gianni Damonte, insieme con i suoi ormai vecchi ragazzi del "Graffiti", ha sempre detto che era stato Mantovani a meritarsi i sampdoriani e non viceversa. Chissà. Vero è che partire come e dove e quando era partita la Sampdoria voleva dire soltanto due cose: finire ancor prima di aver cominciato, oppure confermare la legge di Darwin per cui solo i forti resistono. Forse anche per la Sampdoria sta cominciando a funzionare quel meccanismo di autoconservazione che scatta nelle difficoltà. E poi c'è un fenomeno strano: a parte le squadre metropolitane, che hanno fatto proseliti dappertutto a suon di vittorie, o quelle che contano in quasi ogni dove sugli emigrati, tra i club medio-piccoli la Sampdoria è quello che ha più tifosi fuori dal suo territorio e ad esso estranei. In tutta Italia ci sono infatti squadre dilettantistiche - come alcuni club esteri di livello, anche se in questo caso solo come casacca di riserva - che hanno adottato la maglia blucerchiata: una maglia su cui è lecito formulare ogni valutazione estetica (bella, brutta, da ciclista eccetera), ma di cui non si può negare un formidabile dato fattuale: è unica al mondo. Non ce n'è un'altra uguale, solo la Sampdoria gioca con quella, se vedi alla tv anche solo un fotogramma capisci che è lei. E questo dato è tuttora un forte elemento di seduzione. La Sampdoria c'è ancora, magari malconcia, ma chi non lo sarebbe stato dopo il male patito negli ultimi anni?, e ce la farà anche stavolta. Lo dice l'irrazionale entusiasmo di una gente orgogliosa e innamorata, che non vede l'ora di ripartire.