Un uomo trascinato via dalla piena, centinaia di case distrutte, interi quartieri sommersi dal fango. Tra il 9 e il 10 ottobre 2014, Genova visse una notte drammatica. In poche ore caddero quasi 400 millimetri di pioggia, trasformando torrenti e strade in un’unica colata d’acqua che devastò la città.
Il torrente Bisagno esondò intorno alle 23:30, invadendo il cuore di Genova, da Brignole alla Foce. Nel tunnel tra via Canevari e la stazione venne trovato senza vita Antonio Campanella, infermiere di 57 anni, travolto mentre cercava di mettersi in salvo. L’acqua trascinò via auto, negozi e vite, lasciando dietro di sé un paesaggio spettrale di fango e macerie.
Un territorio fragile
Le cause furono molteplici: la combinazione di correnti umide e calde da sud con aria fredda settentrionale generò un sistema temporalesco stazionario che scaricò sulla città un’enorme quantità di pioggia. Ma il disastro fu amplificato da decenni di urbanizzazione disordinata e da tombinature di corsi d’acqua che ridussero drasticamente la capacità di deflusso.
Il bacino del Bisagno, già al centro di altre tragedie, confermò la propria pericolosità. Genova, stretta tra il mare e i rilievi, è da sempre vulnerabile a fenomeni di questo tipo, e la conformazione del territorio – un dedalo di torrenti, strade e costruzioni ravvicinate – rende complessa qualsiasi difesa strutturale. Questa tragedia, unita alle altre, ha accelerato le opere idrauliche, gli scolmatori del Fereggiano (già entrato in funzione) e del Bisagno (in corso d’opera).
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Una città sott’acqua
La furia dell’acqua colpì con violenza il cuore cittadino. Borgo Incrociati, via XX Settembre, piazza della Vittoria e numerose vie del centro vennero invase dal fango. Auto accatastate, vetrine distrutte, scantinati allagati. Nei quartieri della Val Bisagno i residenti ricordano il rumore incessante dell’acqua, l’odore acre del fango, il buio improvviso per i blackout elettrici. “Stanotte ho perso tutto”, disse un uomo guardando la propria bottega devastata.
A Cornigliano, tre operai rimasero intrappolati in un capannone, circondati dall’acqua fino al petto, e furono tratti in salvo solo grazie all’intervento di passanti. Nel centro storico l’acqua entrava dalle porte e scendeva nei vicoli come una cascata. “È stato peggio del 2011”, ricordano ancora molti genovesi che avevano già vissuto l’alluvione di tre anni prima.
I danni e la solidarietà
Il bilancio fu pesante: 250 milioni di euro di danni, centinaia di attività distrutte, decine di comuni coinvolti nella Città Metropolitana. Le ferrovie subirono guasti e interruzioni, l’autostrada A12 venne chiusa in diversi tratti, e molte scuole restarono inagibili per giorni.
Ma accanto alla distruzione emerse la reazione straordinaria dei cittadini. Migliaia di volontari, quelli che a Genova sono chiamati “angeli del fango”, si riversarono per le strade con pale e secchi, spalando giorno e notte per liberare la città. Giovani, famiglie, perfino commercianti danneggiati che, invece di arrendersi, aiutarono gli altri a ripartire. Un moto di solidarietà che rimane una delle pagine più commoventi della storia recente di Genova.
Le responsabilità e le domande aperte
Nei mesi successivi furono aperte inchieste per disastro e omicidio colposo, con l’obiettivo di verificare eventuali omissioni nei sistemi di allerta e di manutenzione. Molte critiche si concentrarono sull’assenza di un’allerta adeguata e sulla lentezza dei lavori di messa in sicurezza del Bisagno.
Da allora sono stati avviati interventi strutturali, tra cui il progetto di copertura e scolmatore del Bisagno, ma il ricordo di quella notte resta vivo. Ogni autunno, quando tornano le prime piogge, Genova si interroga sulla propria sicurezza e sulla capacità di convivere con una fragilità idrogeologica che è parte della sua stessa geografia.
IL COMMENTO
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