RAPALLO - E' sempre banale, scontato, brutto da chiedere, la classica domanda "che fanno i giornalisti, ma che domande sono?". Ma per capire il cuore della questione secondo me questa domanda è da fare perchè rappresenta il nocciolo del dolore delle tante donne che si trovano in Italia, fuggite dall'Ucraina in guerra: "Che cosa si prova, quanta paura, per i mariti rimasti in patria a combattere?". Una cosa straziante, lo dico da moglie di un marito che tutti i giorni torna a casa, pensare che la tua metà oggi c'è, forse, almeno fino alla prossima telefonata, e domani chissà. Lo racconta una ragazza ucraina che incontriamo a Rapallo e che indica su una mappa dove combatte suo marito. Lei, arrivata in Italia con i suoi beni più preziosi, cioè i figli, e appesa a quelle comunicazioni precarie con il marito.
"Ci sentiamo in media due volte alla settimana perchè lui ha difficoltà nelle comunicazioni" ci racconta mentre si trova nella mensa organizzata dalla parrocchia dei santi Gervasio e Protasio, insieme alla Consulta del volontariato di Rapallo che fa parte della rete di volontariato che aiuta a gestire la situazione. Gli occhi si fanno lucidi. Accanto ci sono tanti altri visi di ragazze, che almeno sorridono parlando di come i loro figli "si stanno ambientando bene a scuola in Italia, anche grazie ai traduttori volontari che li aiutano a capire. Fanno sport, stanno bene, sono felici". Questa, i loro figli, è la salvezza che le fa andare avanti, inventarsi una vita nuova in un paese nuovo.
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