Cronaca

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E' proprio vero che la vita è piena di sorprese. Tutto infatti mi sarei potuto immaginare tranne che il palazzo nel quale abito - un condominio tranquillo, mediamente borghese, quartiere Foce - fosse abitato da più di una persona che ha qualche problemuccio con giustizia e/o tribunali. Chi se lo sarebbe aspettato, ad esempio, dalla distinta signora quarantenne del terzo piano che tutte le mattine, implacabilmente alla stessa ora, piova o ci sia il sole è solo un dettaglio, porta fuori il suo cane che a vederlo bene un pò le somiglia? O anche dal lord Brummel del quinto sempre impeccabilmente vestito che guai a trovargli una combinazione di colori meno che azzeccata? C'è da sottolineare che è un palazzo molto, molto riservato, tanto che pur vivendoci da undici anni la confidenza che i condomini mi regalano ancora oggi incontrandoli casualmente sul portone o in ascensore non va mai al di là, tanto per dirla alla De André, di "un solco lungo il viso, come una specie di sorriso", ma è un dettaglio che ho sempre attribuito alla classica riservatezza genovese, non alla colpevole circospezione di chi all’interno del proprio appartamento nasconde chissà quali inconfessabili segreti alla Twin Peaks. Ma immaginatevi la mia sorpresa quando, contemporaneamente, ho scoperto - senza saperlo prima - di avere ANCHE IO qualche problemuccio con giustizia e/o tribunali e che dunque ciò che avevo che avevo provato nei confronti dei miei vicini era reciproco! Avranno pensato lo stesso di me, mi sono detto, che figura...

Tutto è successo la settimana scorsa quando il nostro palazzo nel giro di un paio di giorni è stato invaso da una raffica di avvisi di raccomandata (ormai è difficile capire l'ora in cui passa il postino, questo capiterà anche a voi, e lavorando spesso non si è in casa) ma - attenzione! - non quelle normali, di colore giallo tanto per intenderci, ma quelle verdi con cui si notificano atti giudiziari. Io ne avevo una, una mia vicina addirittura due, ce n'erano altre sparse nelle varie cassette e tre perfino fuori, appoggiate al muro, come se il postino avesse voluto marchiare in questo modo un palazzo francamente esecrabile. Non so cosa abbiano fatto gli altri, vi racconto quel che ho fatto io, dopo l'inevitabile stupore. Certo, poteva trattarsi di una semplice multa, parcheggiare in centro anche con la moto è un problema, si sa, ma per fortuna non ne prendo da tempo, e dunque? Tanto più che c'era un altro aspetto inquietante, e cioè che la raccomandata giaceva non dove le vado a ritirare di solito, in corso Marconi, a poche centinaia di metri da casa, ma - aveva scritto di suo pugno il postino, se pure con caratteri abbastanza incerti - a S. Fruttuoso, in viale Blelé. Così vado lì, immaginandomi una sorta di ufficio specifico per colpevoli. Tranquillo solo apparentemente perché, lo sappiamo, Kafka è sempre dietro l'angolo. Arrivo e intanto non è un 'viale' ma una 'via'. Poco male, entro e per fortuna sembra un posto normale, nessun attrezzo da santa inquisizione in vista, solo un paio di persone davanti. Arriva il mio turno, con un certo tumulto nel cuore porgo la cartolina all'impiegata che mi sta di fronte che a sua volta la guarda, la gira, la osserva con attenzione, alza gli occhi al cielo e poi afferma: "Benedetto ragazzo, quante volte gli abbiamo detto che non deve mandarli tutti qui!" Il 'benedetto ragazzo', me lo spiega in maniera molto gentile, è un trimestrale che evidentemente considera quello di via Blelé l'unico ufficio in cui dover ritirare le raccomandate e non c'è stato verso di convincerlo del contrario. Pazienza, dopo le scuse vado in corso Marconi dove come al solito trovo una quarantina di persone in coda. Al mio turno consegno l'avviso, dopo di che l'impiegato si alza e va nella stanza alla sua sinistra a cercare la raccomandata, scomparendo per almeno cinque minuti. Torna costernato: "Non la trovo, vedo se è da un'altra parte", e va nella stanza alla sua destra. Passano altri cinque minuti e alla fine arriva con una busta sottile sottile che un pò mi tranquillizza dal momento che mi aspettavo (atti giudiziari!) chissà quale malloppo in cui venivano messe a nudo le mie nefandezze. "Eccola, non la trovavo perché il numero che il postino ci aveva scritto sopra era sbagliato!". Benedetto ragazzo, ho pensato io. Qui si svela il mistero della faccenda: la raccomandata era assolutamente normale, anzi mi portava persino una buona notizia ma allora cosa era successo? Me lo spiega, anche qui non senza scuse, l'impiegato della posta perché non era la prima volta che succedeva. Il 'benedetto ragazzo' andando in giro per palazzi a consegnare raccomandate aveva evidentemente finito le cartoline gialle e non volendo tornare a prenderle per pigrizia aveva usato quelle verdi, pensando (nella migliore delle ipotesi, altro non voglio immaginare) che tra le une e le altre non ci fosse nessuna differenza. Gialle, verdi, sempre raccomandate sono, che importanza ha? E che importanza ha far passare qualche piccolo patema ad un tot di persone?


Uscendo dalla posta, fatalmente, il quadro mi tornava chiaro: al mio personale sospiro di sollievo si accompagnava la ritrovata consapevolezza di abitare in un palazzo normale, senza pericolosi criminali. Anzi, ho pensato, dal momento che le disgrazie comuni spesso avvicinano le persone, vuoi vedere che d’ora in avanti incontrandoci nell'atrio o sulle scale un 'buongiorno/buonasera' finisce addirittura per scapparci?