Cronaca

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La fretta non è mai una buona consigliera, recita un antico adagio, e non lo è stata nemmeno per il prof. Boero "Prorettore per la Formazione" del nostro Ateneo. Evidentemente il mio riferimento ad una “cultura del mattone” ha colto nel segno, perché Boero ha ricordato a noi tutti, ed in particolare a me, che... le aule servono agli studenti! Grazie, professore per il chiarimento. Tuttavia, almeno per l’Ateneo genovese non è stato, fino ad ora, proprio così. Vorrei rammentare a tutti la vicenda del Silos Hennebique: l’università versò alla ditta concessionaria dell’immobile più di cinque (5) miliardi di lire per il subentro, obbligandosi anche al versamento di un cospicuo canone annuale, il tutto nell’esclusivo interesse degli studenti che, infatti, non vi hanno mai messo piede! Anche la stravagante operazione immobiliare dell’Albergo dei Poveri è stata fatta, ovviamente allo stesso scopo, con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti noi, ma anche sotto quelli, forse ancora più attenti, della Corte dei Conti. Ringrazio infine il prof. Boero per avere evidenziato la mia qualifica di “ricercatore” in questo Ateneo, il che mi consente di ricordare, a lui e ai nostri lettori, come lo sono diventata: partecipai nel lontano 1981, ad un concorso riservato ai cosiddetti ”cervelli”, cioè persone che avessero prestato servizio di ruolo, per almeno 3 anni, in qualificate università americane. Rientrammo in due, a Genova, con quella legge, io ed una collega. La norma prevedeva l’inquadramento con la stessa qualifica ottenuta all’estero: la mia era di Assistant Professor of Neurology alla Hahnemann Medical College di Filadelfia (affiliato alla Università della Pennsylvania). Come mai, fui invece inquadrata come ricercatore e quindi non passai “ope legis" ad Associato, come gli altri miei colleghi? Come mai ho assistito, invece, alla distribuzione di “cattedre” a persone non qualificate? Misteri universitari da me ormai dimenticati: una qualifica inferiore non ha per nulla nuociuto né alla mia carriera professionale come medico (dove il merito è più importante del titolo), né alla possibilità di insegnare (sono professore come lei, caro Boero, certamente sa) né tanto meno alla mia realizzazione come giornalista: anzi è proprio un certo modo di funzionare dell’Università italiana il motore che mi ha spinto a scrivere a 'Il Primo', a rispondere a lei e a stimolarmi a continuare in futuro, affinché la gente sia informata di quanto avviene, anche nell’Ateneo genovese.

*Docente Università di Genova