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La sfida del nuovo tecnico del Genoa Andrij Shevcenko li ha riassunti lo stesso ucraino, con tempi giornalistici da esperto comunicatore, per tre concetti chiari che vanno dritti al cuore del problema del Genoa: al primo posto la salvezza come unico obiettivo, al secondo con riferimento diretto al mercato di gennaio che sarà decisivo per rinforzare una squadra povera, infine il terzo punto che pone al centro la ricerca della tifoseria come stampella irrinunciabile.

Non è stato banale “il vento dell’est” come chiamavano al Milan il bomber che con Berlusconi ha vinto tutto. Oltre 48 ore dalla conferenza di presentazione davanti a Sheva leggendo qua e là, ci sono più sogni che preoccupazioni, non per lui che è intelligente, ma per un ambiente assetato di gioie e che non accetta proroghe di fronte ai soldi spesi dai proprietari americani per ingaggiare il pallone d’oro del 2004. L’equazione è semplice: da Miami hanno speso, quindi ci sono i soldi e allora tutto è possibile. Purtroppo nel calcio non sempre funziona così, conviene prevedere anche questo.

Esonerato Ballardini che è uscito dai riflettori quasi da clandestino mentre tre anni fa era considerato più bravo di Gasperini, ai tifosi rossoblù ora non basta più un parafulmine, gliene hanno fatti vedere di tutti i colori, ma vogliono un totem sicuro su cui riversare le comprensibili attese dopo anni opprimenti. Si è accesa la luce sul Grifone e dispiace spegnerla subito. Infatti è giusto non farlo, però sarebbe meglio gestire questa euforia e incanalarla verso il presente fatto di un campionato compromesso e che prevede inevitabili sofferenze. Capire questo significa aiutare Sheva, Tassotti e lo staff rivoluzionato.

Gli scettici, pochi per la verità, temono che il fatto di non aver mai allenato un club possa essere il tallone d’Achille dell’allenatore. Forse si ma anche no. La scommessa è piuttosto dare la corda ad un gruppo al quale non manca la generosità dimostrata con le tante rimonte fatte con lo zia Balla, ma con le facce smarrite dopo una vittoria acciuffata in 12 partite. Qui serve essere più psicologi che altro. Shevcenko ha detto che non bisogna guardare la classifica e nemmeno il calendario. Costa poco credergli, ma un’occhiata furtiva agli appuntamenti che in agenda attendono il Genoa a cominciare dalla Roma a seguire con Udinese, Milan, Lazio, Juve, Sampdoria e Atalanta prima di ripartire col ritorno, suggeriscono cautela prima di invocare il progetto che riporterà agli antichi fasti il Grifo che aspetta solo di volare come Wander e Blazquez hanno riferito all’uditorio nella pancia del Ferraris.

Buttarsi nella melassa accogliente di questo abbraccio aperto degli statunitensi è un esercizio facile, comodo e acchiappa like, ma la scorciatoia per il successo nel mondo del pallone non esiste. In fondo è uno sport con le sue regole coi suoi centimetri da superare o di un tempo in velocità da inseguire, o di un movimento tattico che insieme al resto ti faccia trionfare. Tradotto, significa sacrificio. Sheva lo ha sussurrato, ma è passato inosservato: “bisogna lavorare e pure tanto”. Enrico Preziosi ha lasciato il Genoa in buone mani? Pare di sì e quindi è stato di parola, ma non ha certo consegnato a Balla e ora a Sheva un Genoa tra i migliori degli ultimi pur tremebondi campionati.

Andrij l’ha visto ovviamente e per questo avrà bisogno di tempo e soprattutto di comprensione. Lui si gioca molto a livello personale e di conseguenza altrettanto la Genova rossoblù, perché c’è un bivio lì davanti, l’ennesimo della sua nobile storia, da non sbagliare e per questo servono maturità ed equilibrio perché i piedi sono ancora in trincea.