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Il docufilm di Roberta Lena ricorda l’album più politico del grande artista genovese
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“Voi non avete fermato il vento, gli avete solo fatto perdere tempo”: è quello che in un’intervista disse una volta Fabrizio De André all’inizio degli anni Settanta rivolgendosi idealmente al Potere con riferimento all’eredità morale che aveva lasciato la rivolta studentesca del ’68 partita con il Maggio francese e poi propagatasi in gran parte d’Europa, Italia compresa. Chissà se fu proprio quella frase e tutto ciò che sottendeva a dargli l’ispirazione per creare, nel 1973, il suo primo album ‘politico’, ‘Storia di un impiegato’, scritto con Giuseppe Bentivoglio e il futuro premio Oscar per ‘La vita è bella’ Nicola Piovani.

Il disco fece epoca e il figlio Cristiano di recente lo ha riarrangiato e portato in tour con grande successo per un paio d’anni. Su quella tournée Roberta Lena ha girato un docufilm, “DEANDRÉ#DEANDRÉ Storia di un impiegato”, che dopo essere stato presentato come evento speciale alla recente Mostra di Venezia arriva adesso nei cinema di tutta Italia ma soltanto per tre giorni, da oggi a mercoledì. Era un ‘concept album’ costruito intorno ad un personaggio, un piccolo borghese che dopo aver ascoltato un canto degli studenti francesi in rivolta decideva di ribellarsi ma senza rinunciare al proprio individualismo. Le canzoni seguono la sua presa di coscienza politica e questa posizione inizialmente solitaria. Prima sogna di mettere una bomba in un ballo mascherato dove sono radunati i personaggi che nella Storia hanno simboleggiato un Potere, poi la bomba la fa esplodere sul serio: obiettivo il Parlamento, in realtà per un errore a saltare in aria sarà soltanto un’edicola. Alla fine, rinchiuso in carcere, prenderà coscienza – come d’altronde è accaduto al suo autore - del bisogno di una lotta comune: “Già è stato difficile da borghese diventare anarchico ma il vero lavoro è stato da individualista diventare collettivista”, disse dopo De André.

L’importanza di ‘Storia di un impiegato’ resta intatta ancora oggi dal momento che – come accade spesso ai grandi artisti – guardando al passato profetizzava il futuro. Perché se è vero che ci sono singoli personaggi letterari –si pensi a Edipo, Lear, Achab, Raskolnikov - che sono paradigmatici della condizione umana, capaci di farci comprendere il nostro ruolo in questo mondo, altrettanto lo sono determinati momenti storici, soprattutto quando si lotta contro il Potere, qualunque esso sia, dal momento che la Storia purtroppo ciclicamente si ripete. Non è un caso che alcuni versi dell’album siano assolutamente premonitori: prendete “anche se avete chiuso/le vostre porte sul nostro muso/…lasciandoci in buonafede/massacrare sui marciapiedi/anche se ora ve ne fregate/voi quella notte voi c’eravate” o magari “venite adesso alla prigione/ad ascoltare sulla porta/la nostra ultima canzone/che vi ripete un’altra volta/per quanto voi vi crediate assolti/siete per sempre coinvolti", dimenticate il Maggio francese, sostituitelo con la caserma di Bolzaneto o la Diaz durante il G8 e nulla cambia.

Di questo disco fondamentale “DEANDRÉ#DEANDRÉ Storia di un impiegato”, tra musica e documenti inediti indaga, attraverso la memoria di Cristiano, il suo rapporto col padre. Del fulcro dell’opera vengono svelate le memorie mai confessate, i sentimenti che hanno ispirato la creazione, la comunità di artisti e amici che allora si fecero famiglia riempiendo la casa di Portobello in Sardegna dove l’album è stato in gran parte concepito e che circondavano il bambino Cristiano. Nel film tutte le vicende di Faber, filtrate dalla memoria del figlio, diventano un racconto inedito, quasi una biografia del loro comune sentire fornendoci uno sguardo diverso su Fabrizio e la visione contemporanea di un’opera che rappresenta un’eredità artistica e politica per ognuno di noi.