
Tanto e forse troppo si è detto negli anni di questo personaggio certamente complesso, amato o odiato a seconda delle circostanze, che ha comunque trovato la forza di rovesciare l’assunto su cui di basano molte favole: una principessa che decide di non diventare regina scegliendo in qualche modo di costruire da sola la propria identità. Il punto centrale del film è questo, il tentativo di esplorare il percorso interiore che fra dubbi e determinazione l’ha condotta a preferire la libertà rispetto a un mondo che probabilmente gli si è chiuso intorno come una prigione.
Larrain ce la mostra insofferente alle regole, sempre in ritardo a tutti gli appuntamenti che il cerimoniale impone, dai pranzi alle cene passando per la foto ufficiale di famiglia, mentre cambia l’ordine dei vestiti che dovrebbe indossare a seconda della circostanze, interessata soltanto al rapporto con i figli. E intorno a lei – che finisce per identificarsi con Anna Bolena, sua lontana parente, seconda moglie di Enrico VIII decapitata perché accusata di adulterio – vede soltanto nemici con l’unica eccezione di una sarta che le confesserà alla fine un’attrazione nei suoi confronti molto al di là della semplice amicizia. Un’invenzione di Larrain come tante altre all’interno del film.
Ma al di là del senso di oppressione che la protagonista sente continuamente dentro di sé e della passione e il rispetto con cui ci viene mostrata, il limite maggiore sta nell’immagine che viene fuori di Diana (interpretata da Kristen Stewart) che non le rende un buon servizio: una donna perennemente sull’orlo dello squilibrio mentale, combattuta tra bulimia e anoressia. Così ‘Spencer’ non prende mai il volo, restando soltanto una favola nera che procede tra luoghi comuni e la mancanza di un dolore vero.
IL COMMENTO
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