cultura

Un concorso appena discreto, niente più: il cinema è ripartito sì ma lentamente
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Finita la scorpacciata di film, resta l’interrogativo più importante di ogni Festival: chi vincerà? Difficile a dirsi, non lo saprà fino all’ultimo neanche colui che alzerà la Palma d’oro perché a tutti i vincitori dei vari premi, quando vengono richiamati a Cannes per la cerimonia conclusiva, viene solo detto che hanno vinto qualcosa ma non cosa. A differenza di Venezia dove tra rumours e indiscrezioni fatte uscire ad arte praticamente si sa tutto o quasi ore prima.

E’ stato un concorso appena discreto, niente più. Ovviamente meglio di Venezia 2020 ma molto probabilmente peggio di Venezia 2021 che partirà tra un mese e mezzo. Se c’è una cosa infatti che ci ha detto Cannes è che il cinema è ripartito sì ma lentamente. Questo vuol dire che chiunque vincerà sarà molto molto lontano da quel ‘Parasite’ che ha stregato tutti due anni fa. Ciò non toglie che qualcosa di buono si sia comunque visto. Difficile che a Spike Lee possano piacere i film che più ho amato in questi dieci giorni, perché troppo ‘normali’ o di genere. Come la bellissima commedia di Jacques Audiard ‘Les Olympiades’ che incrocia con straordinaria leggerezza le storie di quattro giovani in un quartiere parigino o “Verdens verste menneske’ di Joachim Trier, in italiano ‘La persona peggiore del mondo’, dove il regista norvegese racconta con affetto la vita di una trentenne che non riesce a dare ordine alla sua esistenza.

Fuori gioco purtroppo (almeno per me) il Moretti di ‘Tre piani
’, ci sono però altri film che mi sono piaciuti che potrebbero rientrare nelle corde di Lee: ‘A hero’ di Asghar Farhadi tornato a girare in Iran con una storia che come spesso accade nei suoi film inizia in maniera semplice e via via si complica affrontando problemi morali di non facile soluzione; ‘Drive my car’ che il giapponese Hamaguchi Ryusuke ha tratto dall’omonimo romanzo di Murakami, un misterioso racconto sul legame tra creatività e sessualità che vede un regista teatrale alle prese con Cechov e l’infedeltà della moglie, e Haut et fort’ del francese di origini marocchine Nabyl Ayouch che ha portato cuore ed energia al Festival usando il potere delle parole e della musica hip hop come mezzo affinché i giovani del suo paese possano farsi carico del proprio futuro. Peccato per il finale retorico e la conclusione copiata dall’‘L’attimo fuggente’.

La giuria potrà pescare poi dai cosiddetti ‘film da festival’, spesso noiosissimi che però tutti i critici dicono di aver amato alla follia (tipo ‘Compartiment 6’ di Juho Kuosmanen), o dare un segnale che va al di là del cinema premiando ‘Petrov’s flu’ del russo Kirill Serebrennikov che non ha potuto lasciare la Russia per motivi politici, tanto che sia alla conferenza stampa sia alla proiezione ufficiale del film è stata lasciata una sedia vuota con il suo nome. Poi magari ci stupisce con altre scelte, stasera vedremo.