salute e medicina

Abbiamo imparato a nostre spese che, a meno che si sia inglesi, israeliani o americani del Nord, la campagna vaccinale è complicatissima
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Da mesi siamo sull’altalena dei vaccini anti Covid. Dall’annuncio liberatorio del primo antidoto, trovato da Pfizer, un miracolo, agli altri, uno dopo l’altro. La grande riscossa della scienza nella battaglia per salvare l’umanità intera.

Quando scoprirono il primo sembrava che la uscita da questa terribile pandemia fosse stata conquistata. Non si parlava ancora di varianti e, soprattutto, nessuno dei mille studiosi e scienziati alla ribalta citava come veri ostacoli le possibili controindicazioni, i danni, le morti che le inoculazioni avrebbero potuto scatenare. Abbiamo imparato a nostre spese che, a meno che si sia inglesi, israeliani o americani del Nord, la campagna vaccinale a tutto campo è un’operazione complicatissima.

Poi abbiamo incominciato a ballare sull’altalena di Astrazeneca, sulle età alle quali era meglio usare questo vaccino, con capriole sconcertanti, dai più giovani, ai più anziani. Credevamo che il valore -chiave del vaccino fosse la percentuale della sua efficacia. Ed erano tutti validissimi, su percentuali alte , altissime. Non calcolavamo le reazioni che si potevano scatenare. Dimenticando la potenza della diffusione mediatica, supponevamo che i pochi casi di “incidenti” sarebbero stati sepolti dalle valanghe di immunizzazioni.

Poi è arrivata anche la botta di Jhonson&Jhonson, tutt’ora provvisoriamente sospeso, mentre doveva essere il razzo della guarigione pandemica con la sua monodose. Non giudico, perché non sono in grado, le psicosi scatenate da quelle infinitesimali morti per trombosi, collegabili con la inoculazione, davanti a milioni e milioni di casi andati a buon fine.

Ma mi chiedo, piuttosto, perché parliamo solo di vaccini, della loro salvifica funzione e non delle terapie contro il virus maledetto. In un anno sono emersi miracolosamente i vaccini, ma la sfida della scienza a che punto è con le terapie? Ne sentiamo parlare molto meno, quasi niente.

Ci siamo illusi con la terapia monoclonale, che aveva tirato fuori dal contagio in tre giorni il presidente americano Trump. Abbiamo saputo che il nostro ospedale di san Martino, grazie al direttore Matteo Bassetti, è stato uno dei primi a usarla e che oggi ha già curato quasi un centinaio di malati con quel farmaco, che è poi una combinazione chimica.

Così come Genova era stata la prima in Italia a far importare e testare il Remdesivir, un farmaco adottato anche da Antony Li Fauci, il guru americano. Lo stesso Trump e anche Berlusconi sono stati trattati con quella terapia. Ma oltre a questi due esempi la scienza mondiale, impegnata su ogni fronte, cosa ha scoperto per affrontare il Covid 19? Come si contrastano le decine di migliaia di casi che ogni giorno si manifestano? Certamente affinando le terapie rispetto a un anno fa, quando il contagio era misterioso, sicuramente tenendo conto delle varianti e delle diverse sintomatologie che il morbo scatena nella sua terrificante cavalcata tra i popoli del mondo.

Ma è possibile che a fronte della miracolosa strategia dei vaccini non ci sia stato un pari impegno della ricerca mondiale e planetaria per trovare terapie adatte a contrastare la malattia, a cercare di ridurre gli effetti che seminano ancora morte in ogni angolo della terra?

Certamente la storia ci insegna che le grandi epidemie del passato sono state domate solo con i vaccini, come il vaiolo, scomparso dalla faccia della terra, come la polio. Resta, però, la grande questione di una strategia mondiale per arginare i casi già conclamati. Scorriamo con paura i numeri dei contagi e poi dei morti ogni giorno. Li raffrontiamo a quelli di un anno fa, senza notare, ahimè, grandi differenze.

Siamo appesi a quei vaccini come all’unica ancora di salvezza, aspettando l’immunità di gregge o di massa, ma intanto aspettiamo le cure, che riducano quei numeri in attesa che il virus venga annientato o trasformato in una patologia endemica, controllabile, la influenza tanto citata, quasi invocata, senza dimenticare che anch’essa colpisce ogni anno a morte.