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Il 22 marzo 1981 lo 0-1 con la rete del calciatore più amato da una generazione di tifosi cresciuti con la Sampd'Oro
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 Visto dall'alto non smetteva mai di volare quel pallone, come un rondone condannato a non toccare terra. Fu un attimo e in quell'attimo parve di sentire il fruscio della rete, quell'attimo oggi compie quarant'anni. Bisogna quindi averne cinquanta almeno, quando dici: il gol di Chiorri. E capisci. Non serve altro.

Gli almanacchi riferiscono di Milan-Sampdoria 0-1, 22 marzo 1981, 7a di ritorno del campionato di B, all'indomani dell'inaugurazione della primavera e della vittoria di Fons de Wolf alla Sanremo. Novellino giocava nel Milan, come Collovati e Baresi che l'anno seguente sarebbero diventati campioni del mondo, e molto tempo dopo, come il Pilato di Anatole France, interpellato avrebbe detto: non me la ricordo, quella partita. Mantovani era alla seconda stagione da presidente. Lo stadio sembrava vuoto e c'erano quasi cinquantamila persone, duemila doriani al secondo piano della curva nord. Per molti di loro la prima a San Siro, per alcuni anche nella stessa Milano. Di tutte le città la più lontana da Genova.

Il minuto era il 62. Ma non hanno senso i minuti, quando si parla di quarant'anni e di quel che ci è finito dentro, cioè – parlo per chi c'era - la gran parte delle nostre vite. I migliori anni della nostra vita. La storia che quel giorno davvero cominciava, il sospetto che l'impossibile - come vincerea Milano - sbloccasse tutto il resto del reale.

Il rondone non può toccare terra, dice la leggenda, altrimenti con le sue zampe malfatte smarrirebbe l'arte del volo; quel pallone finì invece addosso a Piotti e poi planò in porta. A ridosso dello stadio c'era un luna park con le giostre e i cavalli colorati e la ruota e il tirassegno. Era quella la giovinezza ed era finita in un giro a tondo, in quel gol secco schiocco di luce, bussola con cinque o sette punti cardinali anzi il nove blucerchiato sulla schiena. Volarono anni corti come giorni. E tutto passava da San Siro, ancora. Vennero le coppe e le finali vinte e perse, uno scudetto di cartone tenuto insieme con lo scotch da pacchi e sollevato in alto dai campioni d'Italia quasi una citazione di quel che si era stati; in ultimo New Orleans planò nella lucentezza dell'ottone dietro le piscine di Albaro. Ma Chiorri era già nel paese dei tropici, a raccontarsi senza crederci mille volte la stessa bugia.

Che era il più forte di tutti ma non aveva voluto esserlo davvero. Moltiplica per mille quel che non c'è e sentirai così la sua grandezza.
Si limitò a tracciare la strada che altri avrebbero percorso, restando nel castello dei destini che s'incrociano un po' male, da cui si parte per vedersi ritornare. 6 settembre 1981, Bologna-Reggiana di Coppa Italia, Chiorri per la prima volta via dalla Sampdoria in prestito lascia il posto all'inizio del secondo tempo a un sedicenne all'esordio assoluto tra i professionisti: Roberto Mancini. Torneranno insieme a Genova l'estate seguente. Solo uno dei due resterà. Mantovani gli disse: sei stato la più grande delusione della mia vita. Avrebbe dovuto chiedergli, usando le parole di un amico: com'è che non riesci più a volare? Nel luglio 1984 Chiorri va alla Cremonese, in cambio di un attaccante soprannominato Topolino. Infine Genova, 23 maggio 1992, Sampdoria-Cremonese 2-2: ultima di campionato, prima da vicecampioni d'Europa, addio di Vialli alla Sampdoria e di Alviero al calcio. A entrambi dicemmo: E se vai via di casa, accendi al momento / del commiato le quattro candele di una stella / perché illumini un mondo vuoto di realtà, /mentre ti segue con lo sguardo per l'eternità. Ecco tutto qui.

Visto dall'alto vola ancora quel pallone di quarant'anni fa a San Siro. Il rondone non tocca mai terra. Non può. Perfino dorme in volo. E qualche volta sogna, perché sa sognare.