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Il capo dello Stato ha convinto il banchiere romano ad accettare un incarico difficile quanto prestigioso anche nella prospettiva della successione al Colle
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Quando un segretario della Cgil dà il via libera a un banchiere, vuol dire che Mattarella ha fatto filotto. Se perfino Maurizio Landini, radici Fiom che non sono proprio quelle di Palazzo Koch, parla infatti di “mossa intelligente”, vuol davvero dire che Mario Draghi non dovrebbe fallire la missione di formare il governo. Difficile che l'ex presidente BCE e governatore di Bankitalia, che dopo le visite di rito (Alberti Casellati, Fico e Conte) entra adesso nel vivo delle consultazioni, abbia accettato una missione al buio: da anni se non decenni viene ritratto come l'uomo della provvidenza, quindi dopo di lui ci potrebbero essere soltanto – come dissero Fruttero & Lucentini, regalando il motto ad Agnelli - una giunta militare o la crociata dei fanciulli.

Draghi ha come orizzonte almeno un anno, tanto più che ai primi del febbraio 2022 scatterà la procedura per le presidenziali: verranno convocati Parlamento in seduta comune e delegati regionali, per designare il nuovo capo dello Stato. A quel punto le poltrone destinate a liberarsi sarebbero due, perché tutto lascia pensare che l'attuale presidente incaricato seguirebbe la strada a suo tempo percorsa da Ciampi. E chi andrebbe a Palazzo Chigi? Sembra incredibile in queste ore, ma Renzi ci sta pensando. E da feroce collezionista di scalpi (Letta pro se stesso, Amato pro Mattarella, Salvini pro Conte e adesso Conte di nuovo pro se stesso), nonché autore di discese ardite e risalite e soprattutto vincitore – sia pure dal basso del 2% che gli viene accreditato – di questa tornata politica, se lo può permettere. Ma altri personaggi della nebulosa centrista dell'uno e dell'altro schieramento, tra i "dragsters" della prima ora, sono all'opera per quello che davvero sarebbe un capolavoro: lo... scalpo del collezionista di scalpi.

Sarà un governo molto simile, per tasso ministeriale di tecnici, al gabinetto a suo tempo assemblato da un altro banchiere: l'ex dg di Bankitalia Lamberto Dini era infatti salito da Scalfaro con personaggi di assoluto valore nel ruolo professionale, ma sconosciuti o quasi alla piazza, come gli altissimi magistrati Brancaccio agli Interni e Mancuso alla Giustizia, il generale Corcione alla Difesa, lo storico del diritto Caravale ai Trasporti. Poi c'era Agnelli agli Esteri, ma era la sorella; infine alle Finanze Fantozzi, ovviamente un omonimo e affermato professore di diritto.

Anche il governo Draghi, anzi Mattarella-Draghi, sarà “di alto profilo che non debba identificarsi con alcuna formula politica”. Tanto più che il vero presidente del Consiglio ha casa al Quirinale: il capo dello Stato, palermitano devoto a Proust e quindi al tempo perduto nonché conoscitore della scacchiera, ha cassato tutte le mosse che gli venivano accreditate nelle indiscrezioni: un secondo giro di consultazioni, utile a ricomporre la coalizione giallorossa sul nome di Conte; un incarico politico stabilizzante come Di Maio o Franceschini; una designazione di bandiera politicamente corretta per Palazzo Chigi, come Cartabia o Belloni o Lamorgese, atta a dissimulare Draghi che avrebbe retto i giochi da Via XX Settembre, dove sorge il palazzo umbertino sede del Tesoro.

Niente di tutto questo. Partendo dal nome di Draghi, discende un novero di altri "primi della classe" candidati ai ministeri come l'avvocato Paola Severino, l'economista Enrico Giovannini, il presidente dei costituzionalisti Massimo Luciani, i dirigenti d'azienda Marco Patuano, Francesco Caio e Flavio Cattaneo, l'economista Carlo Cottarelli, l'amministratore delegato di Fincantieri Giuseppe Bono, il fisico Roberto Cingolani, il rettore della Bocconi Gian Mario Verona. Il presidente incaricato non è intenzionato a presentare una lista mista, con tecnici e politici come avevano fatto i predecessori affini Ciampi e Monti: un nome “targato” farebbe scattare quello che viene definito “l'art. 140 della Costituzione”, che non esiste se non come rimando anche al Manuale Cencelli. Mattarella e Draghi al massimo accetteranno sottosegretari espressi dalla politica, come ufficiali di collegamento. Ma si fa strada, tra i consiglieri del capo dello Stato, l'idea di un consiglio di gabinetto composti dai segretari dei partiti decisi alla fiducia.

Non era un altro governo politico quello che avevano in mente al Colle, tanto più nella parte discendente di una legislatura nata all'insegna dell'antipolitica barricadera e finita con Mastella e Cesa e Tabacci a dare le carte. Come nel 2015 Renzi sul nome dell'allora giudice costituzionale, a costo di far saltare il patto del Nazareno, Mattarella è “partito da Draghi per arrivare a Draghi”. Lo sblocco dei licenziamenti, il piano di gestione dei fondi europei, la pandemia che morde ancora: di fronte a tutto questo non serve un governo che pur di durare non governi; né può accendersi la macchina elettorale, prospettiva quest'ultima la più sgradita al presidente della Repubblica, che ha perfino calcato troppo la mano sull'argomento dell'incompatibilità del voto con l'emergenza sanitaria, esponendosi così ai rilievi di chi nota come in autunno si sia votato molto e in molte regioni e città e in primavera lo si farà ancora.

L'accelerazione su Draghi è arrivata dopo che Mattarella aveva scoperto il bluff di Conte sui “costruttori”: a fronte di un rastrellamento casa per casa, il primo ministro uscente aveva reclutato la controversa Rossi, a suo tempo sbeffeggiata per la vicinanza a Berlusconi, e l'ineffabile Ciampolillo, dal nome adatto alle tavole di Sergio Tofano. Espletato il rito del mandato esplorativo a Fico, ecco che il capo dello Stato ha ottenuto la disponibilità di Draghi, preallertato fin dai giorni scorsi.

Mattarella è deciso ad andare avanti su Draghi, anche senza la maggioranza.
In queste ore si fanno i conti, partendo dal presupposto che PD, Forza Italia, IV, LeU e altri gruppi minori votino la fiducia, negata da Fratelli d’Italia. Ma il nodo riguarda i due partiti più rappresentati in Parlamento, M5S e Lega. Se la Lega vota unanime a favore oppure si astiene abbassando il quorum, rende irrilevanti i voti grillini; se viceversa vota contro, li rende indispensabili e a questo punto il partito che voleva Conte diventa padrone del destino del presidente incaricato, ritenuto un usurpatore nel nome dei soliti poteri forti. Ma si può ancora parlare di un gruppo parlamentare grillino compatto, date le molteplici pressioni che su di esso vengono esercitate? In queste ore pare circolino whatsapp in arrivo da Palazzo Chigi ai parlamentari grillini, cui viene chiesto di votare contro in cambio della ricandidatura certa alle elezioni anticipate.

A tarda sera, il bilancio è comunque favorevole al presidente incaricato: di là dai consensi scontati, anche la Lega dovrà accodarsi e soprattutto a fini interni, per evitare le spinte centrifughe dei vari Giorgetti, Zaia e Fedriga. Perfino Di Maio, all'assemblea grillina, ha devitalizzato il niet di Crimi: “Niente attacchi a Draghi, la strada è un'altra”. Per qualcuno - visto anche l'incombere del semestre bianco, che scatta ad agosto ma farà presto ad arrivare - sembra più che altro un capolinea.