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Lo storico Alberto Cavaglion: "Viviamo in un Paese senza equilibrio nella rielaborazione del passato"
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L'arresto del rabbino di Genova Riccardo Pacifici il 3 novembre 1943 effettuato dai nazifascisti è stato ricordato dal rabbino capo della Comunità ebraica di Genova Giuseppe Momigliano stamani durante la seduta solenne del Consiglio regionale della Liguria dedicata al Giorno della Memoria, per la prima volta convocata in videoconferenza a causa della pandemia covid. Pacifici "precedette i confratelli nella deportazione senza ritorno", come recita una lapide all'esterno della Sinagoga di Genova, fu uno dei circa 261 ebrei genovesi deportati nei campi di concentramento nazisti, di cui poco più che una decina fece ritorno, morì l'11 dicembre '43 ad Auschwitz. Il 27 gennaio 1945, l'Armata Rossa ruppe i cancelli svelando al mondo l'orrore dei lager.

Attraverso un video Dora Venezia, arrestata a Genova e sopravvissuta alla Shoah, ha ricordato i premi da 5.000 lire ad ebreo catturato concessi agli italiani che facevano la 'spia'. Un minuto di silenzio è stato fatto osservare dal presidente del Consiglio regionale Gianmarco Medusei a inizio seduta: "Oggi onoriamo e riflettiamo, per fare memoria come comunità. Nella consapevolezza che sta a ciascuno di noi evitare che quel che è stato possa ripetersi".


L'orazione ufficiale è stata tenuta dallo storico Alberto Cavaglion. "Il Giorno della Memoria oggi richiede l'impegno a ricordare tutte le forme della deportazione, quella razziale, politica, l'internamento civile e militare. - rimarca Cavaglion - Sono fenomeni diversi tra loro storicamente, negli ultimi anni la Giornata della Memoria è stata assorbita in larga parte dalla memoria della deportazione razziale e si parla poco della deportazione politica o dell'internamento militare. Viviamo in un Paese dove un equilibrio armonico nella rielaborazione del passato fatica a maturare. A circa vent'anni dall'istituzione del Giorno della Memoria dobbiamo chiederci in che misura abbia avuto successo. Qualcosa non ha funzionato. - sostiene Cavaglion - L'Italia che ci circonda, i discorsi in pubblico non sono incoraggianti: spesso pregiudizio, razzismo e indifferenza rispetto ai fenomeni gravi che ci circondano sono diventati troppo frequenti".