cronaca

La scomparsa a 73 anni di Repetti. Diresse lo Stabile e fu assessore a Tursi
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Carlo Repetti è morto dopo una brevissima malattia. Aveva 73 anni e lascia la moglie Caterina e i figli Lorenzo, Camilla e Benedetta. E lascia attoniti amici e intellettuali. Perché Carlo era un vero intellettuale, un uomo colto, curioso, spiritoso. Uno che aveva idee e non le cambiava per comodità o tornaconti. Carlo era un uomo civile. Un grande dirigente teatrale, un drammaturgo, uno scrittore, un amministratore pubblico. Un amico.

Di quegli amici antichi con cui ci si vede magari solo ogni tanto, ma si può riprendere un discorso interrotto molti mesi prima come se ci si fosse lasciati la sera precedente. Di quegli amici con cui ti infili in analisi complicate, magari politiche, magari anche su sponde diverse o no, e pochi secondi dopo divaghi sui dolori congeniti dei genoani doc.

L’attenzione per il teatro l’aveva catturato presto. Subito dopo il liceo classico al D’Oria. Le compagnie studentesche, il Caracalla della fine degli anni Sessanta, nato e cresciuto a Spianata Castelletto, davanti al caffè Reati. Finito sul palcoscenico della Sala Carignano con l’ affettuosa benedizione di Lina Volonghi. Per noi avventizi una pura occasione di divertimento, di casino. Per Carlo che curava la complicata regia di oltre cento sciagurati, qualcosa di diverso. Di serio. Così da attirare l’attenzione di due maestri incredibili della scena non solo nazionale: Ivo Chiesa e Luigi Squarzina.

Entra al Teatro Stabile di Genova e in questa eccezionale macchina culturale fa una strepitosa carriera come vice di Chiesa, direttore della Scuola di recitazione e dal 2000 al 2015, direttore. A Carlo si devono molte intuizioni e innovazioni. L’apertura al teatro europeo tanto da meritare la Légion d’honneur, l’arrivo a Genova di Mariangela Melato, la collaborazione con grandi registi internazionali, l’attenzione per il teatro civile, le indimenticabili Lectures, la scoperta di giovani e futuri talenti.

Come drammaturgo voglio ricordare soprattutto due suoi lavori, “Inverni” da Silvio d’Arzo nel 1988 messo in scena con la regia dell’amico a collega Marco Sciaccaluga e quel “Verso la fine dell’estate” che gli regalò premi e riconoscimenti.

Non meno significativa è la presenza di Repetti sulla scena politica. Nella giunta di Claudio Burlando, inizio anni ’90, dove lavorò fortemente per la realizzazione dell’Acquario e poi l’esperienza più incisiva come assessore al Turismo con Beppe Pericu, dal 1997 al 2000. Carlo con il Pci, Pds, poi Ds ha lavorato con la sua innata onestà intellettuale, pronto a criticare ma sempre attento al rispetto dei principi. Un assessore che aveva la prerogativa, ahimé non di tutti, di amare profondamente Genova, il centro storico, dove poi andrà a vivere tra migliaia di libri, con la vicinanza di Caterina, donna intelligente, colta e riservata, e dei suoi ragazzi, tutte menti vivaci come la sua.

Nel 2000 il richiamo dello Stabile da numero uno e la battaglia per far ottenere al teatro di Genova la qualifica meritata di teatro nazionale. Intanto non abbandona la scrittura. Il primo romanzo “Il ponte di Picaflor” edito da Einaudi è un affettuoso ricordo di chi attraversava il mare partendo da Genova per una nuova vita, dei suoi antenati, di suo padre medico d’un tempo, dei legami con l’America latina. L’ultimo, “Nerocittà” edito da Il Canneto, un grappolo di racconti avvincenti con Genova in sottofondo.

Questo era Carlo Repetti. Rigoroso così tanto da lasciare l’anno scorso il consiglio d’amministrazione del Teatro Nazionale dove era stato appena chiamato dal ministro in carica perché non condivideva alcune scelte.
Quando pochi mesi fa lo invitai a Primocanale ospite a una puntata di “Terza” sugli ultimi ottant’anni di Genova a raccontare lo Stabile degli anni entusiasmanti mi confessò che stava lavorando a un nuovo libro. Lo leggeremo spero, anche se Carlo con la sua inconfondibile erre aggrovigliata non potrà rispondere alle domande dei suoi lettori.

Per me resta il Carlo di un indimenticabile viaggio famigliare da Vienna a Praga, nel 1987 in pieno agosto, con Claudio e Silvio. Tutti in coda dietro file di Trabant, Claudio allora assessore al Traffico, a beccarsi una multa per avere attraversato la piazza Starometske Namesti fuori dalle strisce pedonali, Silvio a contestare a alta voce la spiegazione a una classe in gita banale e difettosa (secondo il prof.) di una collega insegnante davanti a un capolavoro della Galleria nazionale.

Per me, caro Carlo, sei anche quell’incredibile albero parigino che facesti piantare in cima a via Roma. Grazie. Resiste nonostante tutto e tutti.