cronaca

3 minuti e 46 secondi di lettura
Il ragionamento è questo: fino al 3 dicembre, o magari anche fino al 7, rimaniamo pure in zona arancione. Poi, però, dritti filati nella gialla. Quindi: shopping natalizio libero, bar e ristoranti riaperti - almeno fino alle 18, ma forse anche fino alle 21 (o alle 22, chissà) turisti che vengano pure a noi. E poi... Poi che il signore ce la mandi buona.

Guardate, se fossimo un Paese normale, il ragionamento - che ha nel governatore ligure Giovanni Toti un alfiere convinto - non farebbe una grinza. Solo che non siamo in un Paese normale. La dimostrazione l'abbiamo quotidianamente, tra comportamenti delle persone che lasciano a desiderare (per usare un eufemismo), vaccino anti-influenzale ordinario che in troppe aree d'Italia, e della Liguria, non si trova, aiuti che non si vedono alle categorie più colpite dal lockdown colorato. E si potrebbe continuare, per dimostrare che il giallo dal 3 dicembre, o dal 7, sembra garantire una sola cosa: una terza ondata di contagi.

Ne parlano molti autorevoli scienziati, prendendo ovviamente spunto da quanto accaduto dopo un'estate cicaleccia che di più non si sarebbe potuto. L'esperienza insegna. Appunto, dovrebbe insegnarci anche come evitare la terza ondata. Il governo, a essere onesti, prova a resistere. Dicendo no, per ora, a quanti vorrebbero riaprire le piste da sci, che sarebbero un vero moltiplicatore per la del virus.

La disputa sta diventando il paradigma della prova più difficile, cioè combinare la salute di tutti con la salvaguardia di quel po' di economia che resta. Qualcosa bisogna fare e non è illogico provare a salvare il salvabile del Natale consumistico. Che, però, non sarà quello del passato. Tolto lo stretto indispensabile, infatti, i liguri, come il resto degli italiani, compreranno non molto. Un po' per sfiducia nel futuro, e pertanto con l'attenzione di mettere da parte, ove possibile, qualche decina di euro. Un po' perché il denaro scarseggia nelle tasche di tutti.

I commercianti danno tanta colpa al virus. Ma la loro crisi, in realtà, è precedente ed è solo acuita dal covid. Per due motivi, uno legato all'altro. Primo motivo: la concorrenza sfrenata di colossi quali Amazon. Si discetta molto sull'argomento, ma le persone si fermano all'aspetto più stringente: gli acquisti su internet hanno il pregio enorme di garantire risparmi a volte molto, molto, molto significativi. La Camera di Commercio genovese spinge meritoriamente lo shopping sotto casa, affermando con ragione che questo contribuirebbe a garantire la sopravvivenza delle aziende e la tutela dei loro lavoratori. Che sono migliaia.

La realtà, però, è che la gente si butta dove spende meno. E questo avviene non perché i nostri commercianti aspirino a guadagni fuori misura, bensì perché i loro prezzi risentono di tutti gli oneri che gravano sulla loro attività. L'energia elettrica, i trasporti (in Liguria tanto più costosi perché la regione ha pessimi servizi in termini di infrastrutture, che non sono uno sfizio ma una necessità), gli affitti, le tasse, la burocrazia sono solo gli esempi più macroscopici di una vita tribolata. Peraltro in tutta Italia.

Il secondo motivo della crisi del commercio sta nelle retribuzioni dei consumatori. Se gli italiani guadagnano in maggioranza 800, 1.000, 1.200 euro al mese, quali spese - natalizie e non - possono mai fare? A dicembre c'è la tredicesima, è vero. Ma una parte finisce fra bollette, tasse e ratei del mutuo o del prestito e l'altra vola via in qualche regaluccio che sempre più è fatto da una "busta" per figli e nipoti. Ai quali serve un po' di denaro più che qualcosa, anche se utile e lodevolmente acquistato nel negozio vicino a casa.

Insomma, comunque la si rigiri, non siamo messi bene. Ci vorrebbero più "ristori", termine bruttissimo per parlare di risarcimenti, in modo da chiudere le attività per ragioni supreme di salute, ma salvaguardando gli imprenditori e i loro dipendenti. E ci vorrebbero paghe più alte, per assicurare quella ripresa dei consumi interni che l'abc dell'economia insegna come indispensabile a una reale ripartenza del Pil.

Non ultimi, poi, servirebbero degli investimenti veri. La Liguria ha pronti 23 miliardi di progetti da finanziare con il recovery fund europeo. Peccato che non si sappia quanti miliardi potranno arrivare davvero. Anzi, non si sa neppure se e quando arriverà il "recovery". Le incertezze, dunque, sono tantissime. Una garanzia, però, l'abbiamo: nel nuovo anno ci troveremo con i problemi di prima. Solo che saranno più gravi di prima.