cronaca

Nella prima tranche delle indagini fermata una donna a Genova
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Aveva fornito un alibi che lo ha lasciato lontano dalle indagini per molto tempo, Salvatore Tambè, considerato l'esecutore materiale dell'omicidio di Astrit Lamaj, ucciso il 15 gennaio del 2013 all'età di 42 anni e le cui ossa sono state rinvenute a settembre del 2018 nel muro di un pozzo artesiano di una villa in ristrutturazione in Brianza.

Il coinvolgimento di Tambè - che è stato preso a Riesi (Cl), in casa sua, dove era agli arresti domiciliari - era stato inizialmente escluso perché quel giorno aveva detto al suo socio, nella rivendita di autoricambi dove lavorava, di dover andare all'ufficio postale. Solo dopo aver ricostruito tutti i punti della vicenda, e grazie alle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia, i militari di Monza e Caltanissetta sono arrivati a lui: senza gli indizi forniti dal pentito nessuno avrebbe trovato il pozzo artesiano né le ossa del 42enne, néavrebbe potuto ricostruire la dinamica della scomparsa.

Nella prima tranche delle indagini erano state fermate 4 persone, tra cui la donna considerata mandante dell'omicidio, trovata vicino all'aeroporto di Genova. Si trattava di una 64enne, commerciante di gioielli che, all'epoca dei fatti, secondo la ricostruzione degli inquirenti, era stata derubata e lasciata dalla vittima, con cui aveva avuto una relazione sentimentale. Oltre alla donna, erano stati fermati altri tre uomini, tutti italiani.

Si era trattato di un assassinio premeditato e la cui preparazione era durata circa un anno: la donna non riusciva ad accettare di essere lasciata e non aveva perdonato all'albanese di averle rubato dei gioielli, quindi ha chiamato a raccolta persone che conosceva nel suo paese di origine in Sicilia, per organizzare l'agguato. Nell'esecuzione, come si è poi dimostrato, erano stati coinvolti ambienti mafiosi di alto rango.