Il calcio va alla guerra dei diritti. Dietro la voglia improvvisa di concludere il campionato sul campo, manifestata da alcuni presidenti che fino alla settimana scorsa erano indisponibili a ripartire col calcio giocato, c'è la mossa di Sky. Venerdì sera l'emittente a pagamento ha fatto sapere, con una lettera alla Lega di Serie A, di non voler pagare la sesta e ultima rata del contratto di trasmissione delle partite non disputate. Una prospettiva disastrosa per molte società, che si sono già fatte anticipare dalle banche soldi che hanno già speso e che adesso dovrebbero avere dalle tv per restituirli agli istituti di credito.
Su questa sesta rata si gioca una partita complessa. Si tratta di una rata da 233 milioni, proveniente per 130 milioni da Sky e per il resto da Dazn e, per la parte relativa ai diritti internazionali, da Img. Ma l'indisponibilità delle tv a pagare si accompagna a una proposta informale di rinegoziazione dell'accordo: sconto di 120 milioni in caso di ripresa del campionato, di 260 nell'eventualità di blocco definitivo.
La Lega di Serie A, che ha convocato un'assemblea straordinaria per mercoledì 13 maggio, non si è fatta trovare impreparata. Il presidente Paolo Dal Pino (nella foto) - ex manager ipertrasversale che a soli 58 anni ha un passato tra Fininvest, Mondadori, gruppo Espresso/Repubblica, La7, Telecom, Wind, Pirelli e Terna - ha chiesto un parere al professor Guido Alpa, ovadese di nascita e genovese di formazione e carriera accademica, per molti anni titolare della cattedra di diritto privato in via Balbi e titolare di un prestigioso studio legale presso il quale ha lavorato anche l'attuale presidente del Consiglio Conte. Il giurista sostiene che se il campionato finisce regolarmente le tv non hanno diritto ad alcuno sconto, mentre uno stop definitivo darebbe al sistema calcio una mazzata tremenda, quantificata dalla società di analisi contabile Deloitte in 720 milioni.
Il presidente Dal Pino si trova così a mediare tra le due fazioni della Lega, che già avevano faticato ad accordarsi sulla sua stessa elezione. Da una parte ci sono i “trattativisti” Agnelli (Juventus) e Marotta (Inter) che premono per negoziare con Sky, sulla base del prolungamento per un altro anno del contratto in corso previa modifica della Legge Melandri sulla redistribuzione collettiva. Dall'altra la fazione degli “intransigenti”, con de Laurentiis (Napoli) e Lotito (Lazio) decisi ad andare alla guerra, intentando causa civile alle tv. Secondo indiscrezioni, il quadro economico generale della Serie A è molto precario: il rifiuto dei calciatori a ridursi o a rinunciare agli stipendi di marzo e aprile sta mettendo in crisi le società. Qualcuna non avrebbe ancora pagato alcuna mensilità del 2020 ed è difficile pensare che i club possano fare a meno dei soldi delle tv. Anche se viene di conseguenza la domanda su come sia possibile che società che producono plusvalenze a valanga, e ce ne sono, si siano ridotte a vincolare la sopravvivenza ai soldi delle tv. L'immagine che dall'esterno si ha del calcio italiano è di un sistema che produce soltanto debiti, senza che i robusti introiti delle tv (un fiume di denaro che arriva ormai dal 1993) abbiano giovato a rami come impiantistica, competitività internazionale dei club, produttività dei settori giovanili. Il calcio, parafrasando un politico del vecchio PSI, è un convento povero dove troppi frati sono ricchi.
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Coronavirus, la Lega di Serie A va alla guerra dei diritti contro le emittenti
Società spaccate tra "falchi" e trattativisti, mercoledì assemblea rovente, Dal Pino chiede un parere legale al professor Alpa
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