politica

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 Avete visto mercoledi sera la chiacchierata a Primocanale con Francesca Balzani? Lei, genovese, grande avvocato fiscalista uscita dallo studio di Victor Uckmar, poi assessore al Bilancio a Genova, poi europarlamentare del Pd, poi vicesindaco a Milano con Pisapia. Poi via dal Pd e un ritorno alla vita professionale con importanti incarichi. L’ultimo di poche ore fa nel consiglio di amministrazione della nuova società nata dalla costola di Salini Impregilo, l’impresa che insieme a altri ricostruisce il ponte sul Polcevera.


Bene, alla domanda se qualcuno le avesse chiesto di candidarsi in Liguria come antagonista del fortissimo Toti, ha risposto con una specie di “ni”. Ha detto, Balzani, che il suo nome qualche settimana fa, è girato. E che la cosa non l’ha infastidita, tutt’altro. Le ha fatto molto piacere. “Fa piacere essere ben voluta!”.

Alla domanda secca se si candiderebbe, l’avvocato non ha risposto: non ci penso nemmeno. Ma, vuoi per un’ innata educazione, vuoi per chissà che cosa, ha aggiunto: “Ora la mia vita è altrove”. Ora. Ma domani?
“Una amica mi ha stuzzicato: vedrai – mi ha detto – che prima o poi torni a casa….”. Dunque, nessun “no” categorico.

Vuoi vedere che le voci che giravano ai primi di marzo sul suo nome come possibile nome di sintesi per un accordo (non chiamiamolo alleanza!) tra Pd e Cinquestelle potrebbero trasformarsi in qualche cosa di più serio, dopo l’ipnosi in cui il Pd sta vivendo nella nostra regione?

“L’alleanza tra Cinquestelle e Pd – ha spiegato Balzani – è secondo me più facile a livello locale che a livello nazionale. E la Liguria ha il dna della regione-laboratorio…”. Quindi? Traduciamo noi: Balzani potrebbe guidare la squadra di sperimentatori liguri a sinistra?

L’avvocato è stata più volte evocata, nel passato, come possibile capolista del Pd e della sinistra in Liguria. Poi non se ne è fatto nulla. Oggi la situazione non solo è diventata molto fluida, ma si prepara, dopo la catastrofe del coronavirus ha sparigliare tutte le carte della politica. Se ci illudiamo (o si illudono i politici pre-virus) che si torni a prima, magari rimescolando un po’ le carte e soprattutto riverniciando i personaggi che sono stati sul palchetto della politica fino a oggi, anche per troppi anni, avremo (avranno) spiacevoli sorprese. I sondaggi nazionali danno in gran spolvero Conte e Zaia e questa tendenza la dice lunga. E’ ritornata, per fortuna nostra, la stagione dei sindaci sempre in prima linea. I partiti e i movimenti o quello che verrà fuori domani, dovranno per forza tenerne conto.

Il virus che ha cancellato una generazione di persone anziane così tragicamente e senza pietà umana, ha anche spazzato la politica a cui eravamo abituati. Quella spesso costruita con poche competenze, quella dei gravi errori, per esempio, nell’ organizzazione della sanità pubblica, della moltiplicazione della burocrazia, dell’improvvisazione assoluta, pagati con un lugubre esercito di vittime innocenti.

Una politica nuova, forte per caricarsi sulle spalle il peso enorme di una ricostruzione .  Ma soprattutto, i cittadini, a quanto si legge e si ascolta in questi giorni di lockdown, vogliono due requisiti: il merito e la competenza. Chi fa politica, chi vuole governare, deve avere tutte le carte in regola per farlo. Le vecchie scuole della politica non esistono più: vale il lavoro sul campo. Non servono più i “baciati dalla fortuna” che, in quattro e quattr’otto si trovano catapultati a Montecitorio. Senza arte né parte.
Gli elettori chiedono di leggere i curricula dei candidati. Il problema è che bisogna possederli.