salute e medicina

Su questa emergenza si gioca anche il futuro dell'Europa
7 minuti e 7 secondi di lettura

Il Modello cinese sembra aver vinto la battaglia con il Covid19, detto questo e consapevoli che non si può utilizzare nelle società consumistiche avanzate, stiamo cercando di applicare una sorta di Modello italiano (e a breve immagino europeo) basato sul compromesso che, pur utilissimo, non potrà avere la stessa efficacia. Mi pare evidente infatti, che o lo si applica integralmente come loro, con la stessa assoluta rigidezza, o altrimenti non può avere la stessa efficacia!


Quello che si sarebbe dovuto fare, allora, e con la massima coordinazione, se l’Europa Unita ha senso che esista, è instaurare, in attesa di vedere quale sarà il Modello americano,  un Modello europeo, che assorbisse buona parte dei provvedimenti cinesi ma li rimodulasse secondo la sua realtà economica  politica e sociale, e di conseguenza,  in qualche modo, accettare la diffusione della Malattia, consapevoli del fatto che, se ben curata, conta su una guarigione del 98% della popolazione affetta, ma soprattutto che il 10% dei contagiati che finiscono in terapia intensiva appartengono per la maggior parte alla popolazione anziana.


E allora, prima di tutto, fin da subito, vale a dire almeno già ai tempi della chiusura dell’area di Codogno (o perfino in alternativa) e per la loro stessa tutela, si sarebbe dovuto impedire per decreto ministeriale che uscissero di casa tutti gli ultra settantacinquenni (che, tra l’altro, sono per la maggior parte fuori dal mondo del lavoro) e le persone, immediatamente e segnalate dai medici di famiglia, con patologie gravi preesistenti.


Agli anziani soli gli si sarebbe portato il necessario a domicilio (vicini, volontari, familiari, persone addette allo scopo), mentre per coloro che vivono in famiglia, sarebbero stati gli stessi familiari, opportunamente istruiti, a evitare il contagio, essendo di fatto gli unici che avrebbero potuto esserne la causa. In questo modo avremmo abbattuto quasi del 90% la necessità di posti in terapia intensiva (visto che il 90% è occupato da anziani secondo i dati forniti dal Ministero della Sanità) e di un buon 50% i ricoveri ospedalieri.


Già sarebbe bastato questo semplice provvedimento (alla luce di quelli che poi sono stati presi) che l’emergenza sarebbe stata molto più gestibile, e oggi vivremo un’altra realtà, se non altro in termini di decessi. Invece, se ci fate caso, oggi gli anziani sono la maggior parte delle persone che si vedono in giro, con il loro sacchetti della spesa e spesso, comprensibilmente, senza una vera consapevolezza di come ci si debba comportare per tutelarsi dal contagio. Va da sé che, oltre a questo “semplice” provvedimento, la popolazione doveva essere allertata e istruita a prendere le massime cautele. Naturalmente si poteva, anzi doveva, senz’altro prevedere la chiusura temporanea dei luoghi di aggregazione.


E tanto sarebbe bastato, o meglio no, perché se avessimo voluto “strafare”, oltre a convogliare importanti risorse per creare altri posti di terapia intensiva, si doveva allo stesso tempo  e ancor di più dedicarle alla produzione di più mascherine possibili (in Cina ne producono centoventi milioni al giorno, a noi ne sarebbero sufficienti cinque) in modo che nel giro di quindici giorni tutti le potessero (e le dovessero) indossare. Un paese industrializzato come l’Italia, non può non essere in grado, in stato di emergenza, di produrre in un tempo relativamente breve un numero sufficiente di mascherine, se buona parte degli sforzi sono indirizzati in tal senso (o perlomeno aumentarne in modo massiccio e fin da subito la produzione, invece di aspettare che si esaurissero le scorte).


Se è vero che le mascherine non servono a chi non è affetto dal virus per evitare il contagio, sono fondamentali per chi lo ha per non trasmetterlo (non credo che in Cina le indossino tutti per divertimento), e comunque va da sé che maggiore è il numero di persone che si muovono e lavorano con le mascherine (quindi anche, tra gli altri, il positivo che non sa di esserlo), minori sono le possibilità di contagio, fino a scendere fatalmente sotto il fatidico R 1 se tutti le indossassimo. E invece le snobbate (all’inizio) mascherine adesso sono introvabili e affannosamente si cerca di correre al riparo.


Pensiamo davvero che questi provvedimenti, non voglio dire semplici, ma certo meno complicati, confusi, economicamente devastanti e contraddittori, di quelli attuali, sarebbero stati più dispendiosi e meno efficaci? A quel punto, non solo l’economia reale non avrebbe subito un blocco di siffatta specie -  e gli italiani non ne avrebbero pagato il conto -  ma, paradossalmente, perfino le scuole potevano restare aperte e le persone, seppur con tutti gli accorgimenti del caso, avrebbero potuto uscire di casa, evento che non accadrà, prevedo, per almeno i prossimi duetre mesi. In Cina, nonostante i pochi contagi al giorno, continuano, dopo 80 giorni dall’inizio, a tenere l’intera provincia di Hubei in quarantena, solo appena più allentata, quindi se noi, spinti dalle pressioni populiste che tra un mese, con la bella stagione e trenta giorni di reclusione, inevitabilmente si faranno sentire, faremo il solito compromesso all’italiana ne pagheremo le conseguenze.


Allora, per come si sono messe le cose, la nostra unica possibilità di salvezza (psicologica, quella economica non dipende da noi), oltre ad applicare rigorosamente tutte le restrizioni, e quella di accettare comunque e nonostante tutto, la diffusione del virus, consapevoli (ma lo siamo?) del fatto che non è la peste bubbonica, ma una malattia importante, grave, ma non così grave per come istericamente la stiamo vivendo.


Ed è questo che alla fine ci salverà (oppure, speriamo, il caldo), questa volta sul piano sanitario. Certo, la salvezza sarebbe stata più facile se fossimo riusciti a evitare il sovraffollamento di ospedali e delle terapie intensive, che sicuramente non agevolano nella cura del paziente e probabilmente alzeranno la percentuale dell’exitus.  Ecco il vero problema, la mia preoccupazione - ma non paranoia - non è quella di ammalarmi ma di ammalarmi in questo momento di crisi se per caso appartenessi a quella irrisoria percentuale di “giovani” che finiscono in terapia intensiva, o a quella, più significativa, ma molto meno se fosse parzialmente depurata dalla popolazione anziana, che necessitano di ricovero ospedaliero, perché non vorrei trovarmi ad essere curato su una nave e da chi non si sa, visto che la carenza di operatori si sta facendo drammatica.


In ogni caso, alla resa dei conti, e nonostante tutti gli errori, capiremo che forse abbiamo fatto una tempesta, non dico in un bicchier d’acqua, per carità, ma in un mare agitato e che buona parte delle onde le abbiamo create noi. Perché una malattia che secondo i dati attuali comporta il 98% di guarigioni e almeno il 50% di pazienti con sintomi lievi, se non addirittura senza, per quanto allarmante sia, non può, se fossimo dotati di ragionevolezza e non dominati dall’emotività, suscitare tutto questo sconquasso, quasi come se fossimo stati invasi dagli extraterrestri. Allo stesso tempo, tuttavia, bisognerà fare della paura una nostra alleata, ma solo per cercare di evitare il contagio, senza vivere nel terrore di essere stati contagiati, o giorni di ansia insostenibile perché abbiamo incontrato una persona che ha incontrato un positivo.


E se ci ammaleremo pazienza, ce ne faremo una ragione (e mai la parola “ragione” può essere più attinente) e incroceremo le dita, consapevoli tuttavia che fortunatamente ci siamo ammalati di coronavirus, e non di Hiv, tubercolosi o cancro. In ogni caso non è troppo tardi. Oggi l’Unione Europea è chiamata al suo ruolo. Quando tutto questo sarà finto, niente sarà più come prima, neppure L’Europa. Se saprà dare risposte adeguate ne uscirà più forte e sarà l’inizio di una nuova, vera, Unione, viceversa finirà a pezzi, e i sovranisti, non senza buone ragioni, avranno vinto la loro battaglia. Intanto noi Italiani, dopo un primo spaesamento, stiamo recuperando empatia, fratellanza e spirito patriottico; se non è frutto (solo) della solita emotività, e, passata la paura, non passerà come passa il sentimento di appartenenza per aver vinto un mondiale, sarà la miglior cosa che ci è capitata dai tempi dell’Unità d’Italia.


E lo sarà grazie (inteso come “a causa”, però!) a questo stramaledetto coronavirus.