economia

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"Pacta servanda sunt" è una locuzione latina secondo la quale gli accordi, le intese, i patti, i contratti - ognuno li chiami un po' come vuole - vanno rispettati. Di più. Su Wikipedia è ben spiegato che secondo alcuni studiosi, fra i quali Vincenzo Roppo, docente di Diritto all'Universita' di Genova, "una volta concluso, il contratto getta un vincolo sopra le parti, le 'impegna', nel senso che esse non possono più sottrarsi ai suoi effetti, i quali si producono, piaccia o non piaccia alle parti".


Poi, certo, ci sono delle deroghe che stabiliscono il diritto di recesso, a determinate condizioni e secondo alcune altre precise normative. Ma per provare a leggere la complicatissima vicenda dell'ex Ilva e della decisione di ArcelorMittal di restituire l'azienda ai commissari bisogna partire proprio da quell'obbligo contrattuale che lega lo Stato italiano al gruppo siderurgico franco-indiano.

L'accordo fra le parti stabilisce, per quanto è noto, che ArcelorMittal ha diritto a uno scudo legale che le consenta, per un periodo stabilito, entro tempi certi e fissati da un cronoprogramma, per realizzare tutti gli interventi di risanamento ambientale previsti senza correre il rischio di azioni giudiziarie da parte di chicchessia. Siccome questo scudo il nuovo governo lo ha fatto definitivamente venire meno, l'azienda dice: riprendetevi le chiavi dell'ex Ilva e addio. ArcelorMittal, cioè, accusa l'Italia di non aver mantenuto l'impegno contrattuale. Il nostro governo, per contro, muove la medesima accusa, dicendo che l'azienda non vanta alcun diritto di recesso, se non stabilito da un tribunale della Repubblica.

Entrambe le parti, dunque, in qualche modo si appellano proprio alla locuzione latina del "pacta servanda sunt". In queste situazioni, un elemento dirimente è stabilire che per primo ha violati i patti. Ora, non sembra esserci dubbio sul fatto che sia stato il nostro governo, cancellando lo scudo legale. Palazzo Chigi si difende contrattaccando e sostenendo che ArcelorMittal cercava solo la scusa buona per disimpegnarsi o per ottenere una sostanziosa riduzione del personale, che invece fino al 2023, secondo le intese, non può toccare.

E allora: complimentoni a tutti per aver offerto su un piatto d'argento all'azienda l'occasione per sfilarsi! Naturalmente, ora le polemiche anche fra i partiti si sprecano. E un po' tutti puntano l'indice sui Cinque Stelle. Sommessamente osservo: scusate, dove sta la novità? Nessuno in questo Paese sapeva che i grillini avrebbero voluto chiuderla l'ex Ilva? La sorpresa, semmai, era che con ministro Luigi Di Maio si fosse sottoscritto l'accordo con ArcelorMittal. È questo il punto da sottolineare: dopo quel passo, anche i Cinque Stelle hanno (avrebbero) un contratto da rispettare.

Ma sono soprattutto il Pd e Italia Viva, il nuovo partito di Matteo Renzi, a portare la responsabilità di quanto sta accadendo. Ma come, prima prevedete e difendete lo scudo legale per l'ex Ilva e poi con superficialità assoluta decidete di toglierla assecondando i grillini i lotta aperta fra di loro e solo per garantirvi uno strapuntino di governo? Ci sarebbe da ridere se tutta la storia non fosse ormai drammatica e imponesse uno stato d'ansia davvero straordinario per capire che fine faranno i lavoratori, anche quelli di Genova, non a caso già mobilitatisi.

Con una ulteriore complicazione che discende sempre da quel "pacta servanda sunt" di cui all'inizio. La cosa forse ancor peggiore di tutto è che la vicenda assesta un ulteriore colpo di maglio alla già cagionevole credibilità del nostro Paese. Se non siamo in grado di rispettare neppure un accordo su un dossier di delicatezza estrema ed assoluta qual è l'ex Ilva, con quale faccia andremo a chiedere agli investitori stranieri di venire a spendere del denaro a casa nostra? Un qualche assaggio della cattiva politica e della non credibilità dello Stato lo avevamo avuto anche su molte questioni interne, fra previdenza, fisco, burocrazia e finanziarie varie. Ma questa dell'ex Ilva davvero le supera tutte.