salute e medicina

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Una crisi adolescenziale. Così gli insegnanti tranquillizzarono mio padre dopo che avevo raccontato loro che da un po' di mesi mangiavo di nascosto e poi vomitavo volontariamente; convocazione immediata del genitore per metterlo a conoscenza della situazione ma poi conseguente sminuimento di quello che stava succedendo.

Era il 2006, ero al liceo, e avevo iniziato ad affidare il mio senso di vuoto, il mio dolore e le mie ansie alla bulimia. Durante l'estate precedente, dopo l'ennesima goccia di dolore, mi ero chiusa in bagno e avevo vomitato per la prima volta...una liberazione! Insieme al cibo erano uscite tutte le parole non dette, le lacrime trattenute, le emozioni represse.

Questo diventa il ruolo della bulimia: una falsa amica che ti libera, ti aiuta e ti capisce. Il suo obiettivo è quella di isolarti nella sua gabbia lasciando fuori tutto ciò che è vita fino alla vita stessa. Ma questo ovviamente inizi a capirlo quando è troppo tardi, quando nella gabbia sei immobilizzata. Dopo che insegnanti e famiglia non capirono che mi stavo ammalando (se ora si parla poco di disturbi alimentari nel 2006 la situazione era ancora peggio: né a scuola né a casa si avevano gli elementi giusti per conoscere i disturbi alimentari e affrontare la situazione) mi convinsi anch'io che non era malata, ero fatta così: usavo il cibo per gestire le emozioni.

Per 8 anni non ne parlai più con nessuno continuando a convivere con quella che per me era un'abitudine quasi quotidiana. Una settimana di bulimia alternata a una di restrizione per sgonfiare lo stomaco, le mascelle infiammate dagli acidi e per non far notare i cambiamenti del mio corpo. Si è abituati ad associare il disturbo alimentare alla magrezza ma non è sempre così: durante gli attacchi bulimici si arriva mangiare per 5 o più persone e i metodi di compensazione non consentono di liberarsi di tutta queste quantità di cibo.

Dopo 8 anni di silenzio, un'abitudine sempre più radicata nella mia vita e una depressione interna ogni giorno più profonda, decisi di chiedere aiuto. Ero arrivata al punto in cui le cose belle della vita mi davano fastidio: i tramonti, le situazioni festose, i sorrisi dei bambini... che cosa c'era da sorridere? Dov'era finita la bellezza della vita? 

Mi rivolsi al reparto disturbi alimentari della ASL di Genova, trovai persone in grado di capirmi anche se non fu facile: la malattia intuì che psicologhe e nutrizioniste volevano agire contro di lei ma non le temeva; dopo anni di controllo, la bulimia non riguardava più solo il mio rapporto con il cibo ma il mio rapporto con la vita. In Asl però capirono la situazione non mi lasciarono da sola. Sono passati 5 anni da quando ho compreso l'importanza di chiedere aiuto e di dividere me stessa dalla malattia.

In questi anni ho affrontato due ricoveri, ricadute, momenti di sconforto ma oggi posso affermare di aver combattuto per riprendere in mano la mia vita. Tutto ciò che ho fatto mi è servito per affrontare realmente le situazioni dolorose del passato e per tenere la malattia più lontano possibile. Ho la consapevolezza del percorso e dei passi in avanti e so che dai disturbi alimentari si può guarire. Tutto ciò si può però ottenere solo chiedendo aiuto a persone competenti, fidandosi, affidandosi, togliendo ogni maschera per andare all'origine di tutto.

Parlo di disturbi alimentari perché mi auguro che anche una sola persona possa sentirsi meno sola. Parlo di disturbi alimentari perché non voglio che nessuno debba passare 8 anni in silenzio prima di chiedere aiuto. Parlo di disturbi alimentari perché ancora si etichettano le persone con i termini "anoressica", "bulimica", "obesa" e non come uomini e donne che soffrono di anoressia, bulimia, binge eating. Nessuno è la propria malattia.

Parlo di disturbi alimentari perché se ho la febbre mi metto in mutua ma se vomito per 10 giorni di fila cosa posso dire al datore di lavoro? Le malattie mentali non sono malattie di serie B, non bisogna vergognarsi. Parlo di disturbi alimentari perché da queste malattie si può guarire ma non è sempre questo il finale... una mia amica conosciuta durante i ricoveri è morta a causa di questa malattia anche se stava lottando per uscirne. Finché continueranno a morire persone, vorrà dire che non se ne parlerà mai abbastanza.

"Quando staremo meglio andremo a correre al tramonto sulla sabbia per poi gustare un super aperitivo in riva al mare", ci ripetevamo spesso. Corri amica mia, corri tra le stelle continua a sorridere e a giocare con l'ironia come solo tu sapevi fare. Parlo di disturbi alimentari perché sono tornata a osservare incantata i tramonti, a divertirmi durante le situazioni festose e a ricambiare i sorrisi dei bambini. Non è sempre facile ma cerco di guardare avanti, passo dopo passo, emozione dopo emozione, esplorando sempre di più la vita e limitando la paura.