salute e medicina

L'evoluzione a partire dagli antichi egizi
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Il tumore della mammella rappresenta un’entità nosologica conosciuta da tempo, la prima forma neoplastica descritta nell’uomo, descrizione rinvenuta nel celebre Papiro di Edwin Smith del 1600 a.C.
Dal tempo degli antichi egizi alla fine del 1800, per circa 4000 anni quindi, le proposte terapeutiche sono state le più disparate. Gli antichi egizi (2500 a.C.), per controllare localmente i tumori mammari impiegavano la cauterizzazione. Galeno (130 – 210 d.C.), antico medico greco, attribuiva l’origine del tumore mammario ad una sorta di “melanconia morbosa” e consigliava diete specifiche o decotti. Per tutto il Medio Evo (450 – 1400 d.C.), esorcismi e applicazioni topiche di varie sostanze erano i presidi più utilizzati. Nella convinzione che la donna affetta da tumore mammario fosse una strega si arrivava a proporre il rogo come giusta terapia.

Si deve al chirurgo statunitense William S. Halsted (1852 – 1922) il primo razionale secondo il quale il tumore mammario era curabile se asportato precocemente con un intervento il più esteso possibile (tutta la mammella, cute sovrastante, muscoli pettorali, linfonodi ascellari).
Era il periodo del concetto “massimo trattamento tollerabile”.

Sicuramente la diffusione della diagnosi precoce, il miglioramento delle terapie farmacologiche e l’importante intuizione di Umberto Veronesi che una mastectomia parziale guarisce tanto quanto una mastectomia radicale, hanno portato a una progressiva riduzione dell’exeresi chirurgica.

Siamo quindi alla fine del secolo scorso (1980) quando la filosofia della gestione del tumore della mammella passò dal concetto di “massimo trattamento tollerabile” al quello di “minimo trattamento efficacie” proponendo, in definitiva, una terapia farmacologica personalizzata e una chirurgia “gentile”.

La proposta chirurgica attuale, pur rispettando il rigore oncologico, garantisce il rispetto cosmetico. Il risultato finale dell’atto chirurgico non deve ledere l’aspetto estetico.

Rispettando questi principi, attualmente, è possibile curare la malattia senza distruggere l’immagine che una donna ha di se stessa.


*Prof. Daniele Friedman - Direttore Clinica di Chirurgia senologica Policlinico San Martino di Genova